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L’ultima notte australiana

Darwin, NT, 25 feb 2013, ore 00:15

L’ultima notte australiana e non si dorme. Troppi pensieri e troppe immagini intasano la mente che non riesce a spegnersi. Ricordo la mia prima notte in Australia. Ero a Perth, al Britannia, solo, e alle sette di sera sono crollato. Ricordo che cercai di stare sveglio almeno fino alle dieci, ma il fuso orario ebbe la meglio. Mi addormentai vestito, con indosso gli stessi pantaloncini che indosso ora. Mi risvegliai alle 4 di mattina. L’irlandese a fianco a me russava copioso e puzzava di alcol. La stanza aveva un odore di distilleria e la finestra era aperta, la tenda abbassata che a tratti faceva passare una timida brezza. Io ero madido di sudore e fuori, Perth, aveva ancora qualche scintilla di vita lungo William Street. Si sentivano le urla degli ubriachi che non volevano finire la serata. Non ancora. Un altro po’.

Da quella notte ne sono trascorse altre 360. Darwin è deserta per via della wet season. Niente urla, nessuno in giro. Non una goccia di pioggia, solo un vento umido che soffia dal mare. Il secondo visto nei miei documenti è come una coperta calda in una notte gelata. Senza sarei come perduto. Ciononostante, adesso che sono vicino alla fine, non riesco più a ignorare quello a cui da tempo cercavo di non pensare. Quello che è passato è stato l’anno più bello della mia vita. Fa strano pensare che l’anno più bello sia trascorso lontano da tutti, eppure è così. Detto questo, nessun visto lo riporterà mai indietro. E’ andato, sparito, relegato ai ricordi. Il prossimo, o quello che verrà, non sarà mai uguale a quello trascorso. Forse meglio, va detto, ma comunque diverso. Le persone incontrate, i lavori, le avventure, i luoghi nuovi e tutto il resto non ci saranno più. Persino il mio cinema di Perth non c’è più. Chiuso per sempre.

L’ultima notte australiana è come una storia d’amore che finisce. Ci saranno altre donne e altre storie, ma non saranno ma uguali a questa. E’ il termine del capitolo. E’ come svegliarsi da un sogno e cercare di riaddormentarsi subito per continuare a sognare. Non funziona mai. Il sogno è finito. Se si è fortunati, resta il ricordo, e tutto quello che è successo in questo breve anno sono certo che lo ricorderò per sempre.

Queste, in fondo, sono le regole del gioco. Se tutto ciò durasse per sempre, probabilmente diventerebbe normale e finirebbe per stancare. Oggi più che mai apprezzo il principio secondo il quale un viaggio deve avere un principio ed una fine. Il principio deve coincidere con il desiderio di partire e la fine con la voglia di tornare a casa. Forse un pochino meno. La fine perfetta arriva prima del tempo limite, prima che ci si sia stancati e si abbia davvero voglia di rientrare. E’ come l’ultimo boccone di una cena, quando non sei sazio completamente ma vorresti che ce ne fosse ancora un po’, anche se certamente hai mangiato abbastanza. Tutto questo capita solo se la cena è davvero stupenda, se le pietanze sono squisite, la compagnia è gradevole e l’atmosfera è accogliente.

La mia cena australiana è stata così. Vorrei un ultimo boccone ma forse sarebbe troppo. Quindi non resta che fare un giro di amari, bere un buon caffè e pagare il conto, ritornando verso casa ripercorrendo tutti i momenti che hanno reso la serata più bella di qualunque altra.

Buonanotte a tutti quelli che l’hanno condivisa con me.


Indian – Pacific: Adelaide to Sydney

Sydney, NSW, 1 set 2012, ore 13:49, ostello

La partenza non è stata delle migliori. A parte l’essere costretto a prendere un taxi per arrivare in stazione, il mio spirito conservatore backpackeriano si è risentito per questo spreco, ho avuto per la prima volta da quando sono qui l’esempio pratico del dover rispettare le regole. Anche se non si vorrebbe.

Arrivati alla stazione presento i biglietti e mi faccio assegnare il posto, dopodichè mi siedo ed aspetto che aprano le carrozze ai passeggeri. Mentre guardo il mio zaino che sembra ancora quasi nuovo nonostante quello che ha passato, mi chiedo quanto possa pesare. Allora mi alzo e vado a chiedere alla signora che imbarca i bagagli pesanti se posso usare un attimo la bilancia per pesare lo zaino. Lei non è entusiasta, ma lo diventa quando scopre che il mio zaino pesa sedici chili. Anziché farmi i complimenti per l’abilità di viaggiare leggero dimostrata, quella mi guarda e dice: “Dovresti imbarcarlo”. Io replico: “No, guardi, non posso”, ma lei stronca tutto con un: “No, no, non è che puoi: devi!”.

L’ho odiata. Tantissimo. Da Perth a qui non l’avevo stivato e nessuno aveva detto nulla. Adesso me ne devo separare. Ho provato a dirglielo, ho provato a fare l’italiano: guardi ho delle cose che mi servono per il viaggio, c’è una canna da pesca all’interno ed è molto delicata, se lo avessi saputo prima avrei fatto lo zaino diversamente, da Perth nessuno mi ha fatto problemi. Qui non siamo in Italia, quindi il mio zaino è scivolato lentamente lungo il nastro trasportatore fino a scomparire dietro ad una tenda nera. Ciao zaino, ci rivediamo a Sydney.

Sono allora andato a fare un giro per il negozio di souvenir della stazione. E’ incredibile quanti gadget e stupidaggini dell’Indian – Pacific vengano venduti ai turisti. Magliette, cappellini, portachiavi, quadernini, calamite, pupazzetti e ogni sorta di chincaglieria. E c’è la fila per comprarli. Io non sono così, ma quando lavoravo al cinema, accanto all’interruttore della luce c’era una spilletta, una pin, del Ghan, il treno da Adelaide a Darwin. Mi sarebbe piaciuto averne una della tratta che ho fatto io, ma purtroppo non c’era. Pazienza, ho pensato, il biglietto è sempre un bel ricordo. Salito sul treno incontro Dave, il mio stuart di carrozza. Avete presente quella signora che c’era a venire qui da Perth, tutta carina, sempre sorridente, sempre gentile, tutta zucchero e amore? Bè quella è storia. Ora c’è Dave, un australiano di origine irlandese che ha una parlata che non si capisce nulla ed i denti storti. Bè che fa Dave come prima cosa? Ritira e straccia i biglietti. Tutti. Bum. Spariti. Quando il treno ha iniziato a muoversi ed a lasciare Adelaide non ero assolutamente contento, ma poi il sonno ha avuto la meglio ed io mi sono addormentato col movimento soporifero del treno.

Al mio risveglio guardo fuori dal finestrino e vedo l’Irlanda. Una distesa di verde e colline a perdita d’occhio, solo costellata ogni tanto da alberi inconfondibilmente australiani. Era bellissimo. Il tempo un po’ nuvoloso non faceva che accentuare il verde dei prati, delle colline e degli alberi. Poi, proprio quando stavo per cominciare a perdere la speranza, nei dintorni di Gladstone sono arrivati anche i canguri, o meglio i wallaby, i loro cugini più piccoli. Un viaggio attraverso l’Australia non è tale se non si vedono un po’ di canguri e questi wallaby che correvano paralleli al treno erano bellissimi. Vederli allo stato brado e vederli in uno zoo non fa lo stesso effetto e tutto questo ha spazzato via gli umori cattivi e ha fatto ritornare il buon umore. Ad un certo punto iniziano una sfilza di piccole comunità rurali che si susseguono fino a Broken Hill. Questo tratto è molto diverso dal primo. Da Perth ad Adelaide era tutto deserto o quasi. Qui invece è tutto verde, con campi coltivati e paeselli che si susseguono su tutta la linea anche se ogni tanto si incontrano tratti di terra vergine in cui l’uomo sembra non avere inciso nulla della bellezza originale dei luoghi.

Prima che scenda la notte il treno fa una sosta a Broken Hill. Questa vecchia città costruita nel mezzo di niente si è sviluppata grazie all’argento trovato nel sottosuolo e la sua vita è talmente legata a quest’attività che le sue vie hanno il nome dei metalli che vi vengono estratti. La via principale è Silver Street.

Scende la notte sull’Indian – Pacific e così un sonno inquieto. Al risveglio le Blue Mountain, con il loro profilo di un blu intenso, annunciano ai viaggiatori che Sydney è prossima all’arrivo. Non resta che recuperare lo zaino sperando che la canna da pesca sia ancora intatta.

Welcome to Sydney!

 


Indian – Pacific: Perth to Adelaide

Perth, WA, 26 ago 2012, 10:52, East Perth Train Station

Sono passati un sacco di anni da quando ho sentito parlare per la prima volta dell’Indian – Pacific. L’ho scoperto per caso, come quasi sempre accade, un pomeriggio in cui non avevo voglia di studiare in biblioteca e quindi mi sono messo a curiosare tra gli scaffali della sezione viaggi. Il titolo diceva “Australian Cargo” e dopo averne sfogliate poche pagine me lo sono sparato tutto. Qui ho conosciuto l’Indian – Pacific. Ricordo che ho pensato: un giorno salirò su quel treno e farò quel viaggio. Bè, oggi quel giorno è arrivato.

L’Indian – Pacific , come dice il nome, è un treno che collega la costa occidentale e la costa orientale del’Australia. Dall’oceano indiano a quello pacifico, per l’appunto. E’ un tratto infinito e continuo di rotaie, 4352 chilometri di strada ferrata che spacca a metà l’Australia. E’ il secondo treno più lungo del mondo, dopo la Transiberiana, ed è il percorso ferroviario con la tratta dritta più lunga del mondo. Attraversa tre stati: il Western Australia, il Southern Australia e il New South Wales. Grandi numeri per enormi distanze. Inaugurato nel 1970, secondo alcuni è uno degli ultimi viaggi epici rimasti attivi sulla Terra.

Appena arrivati sul binario della East Perth Train Station si capisce subito la maestosità del viaggio dalla dimensione del treno. Fai un passo sul binario e lui è lì e ti saluta con la sua scritta Indian – Pcific gialla intramezzata dalla grande aquila. Poi succede una cosa sconvolgente: cerchi la locomotiva ma non la vedi. Allora provi a consolarti cercando con lo sguardo la fine del treno, ma non vedi nemmeno quella. E’ il convoglio più lungo che abbia mai visto. Saranno trenta vagoni, ma sembrano il doppio. Tutti d’argento e tutti marcati dalla loro scritta sfoggiata con eleganza. La locomotiva, una volta raggiunta a piedi, è blu mare e qui la scritta occupa tutta la fiancata. Non vogliono che tu abbia dubbi, mate: questo è proprio l’Indian – Pacific, quello che hai sempre sognato.

La stazione, che al mio arrivo era quasi vuota, va via via riempiendosi mano a mano che si avvicina l’ora della partenza. Questo treno parte da Perth due volte la settimana, così come due volte parte da Sydney.

Ci sono un sacco di anziani e non molti backpacker. Non mi aspettavo una cosa così.

La hostess gentilissima ci fa accomodare alle nostre poltrone e ci illustra, sempre con il sorriso, tutte le nozioni che dobbiamo conoscere per poter fare il viaggio più confortevole possibile. Su questo treno ti incoraggiano a girare per le carrozze per evitare che ti si addormentino i muscoli. Del resto due giorni a sedere, il tempo che occorre ad arrivare ad Adelaide, non sono pochi. Il treno ha una carrozza bar, un ristorante, una sala comune, le docce e i bagni. Gli asciugamani te li forniscono loro. I seggiolini sono rossi, si sdraiano quasi completamente e c’è spazio a sufficienza per stendere le gambe. L’interno della carrozza mi ricorda un po’ gli autobus anni ’50 americani, con le pareti di una tinta tra l’azzurro e il verde acqua e i sedili rossi con le rifiniture in pelle che riprendono il colore delle pareti. Le finestre sono grandi a sufficienza per lasciare entrare le immagini spettacolari  che scorrono fuori. Hanno un doppio vetro con in mezzo delle persiane e queste possono essere tirate su o giù tramite una manovella. In poche parole è bellissimo, non ho mai visto un treno come questo. Mentre cerco di tirare su la persiana del finestrino, la signora seduta nella fila dietro sorride e dice che la vista è migliore dalla parte dove sono seduto. E prima di salire sul treno un’altra signora si è avvicinata a noi che ci facevamo fotografie a vicenda con il telefonino e ci ha chiesto se ne volevamo una insieme. Che grandi abitanti ha l’Australia.

Il treno si muove lentamente, cigola un po’ e poi si muove. Il grande viaggio è cominciato.

Appena fuori Perth il paesaggio è verde, con qualche recinto di cavalli e qualche farm che coltiva viti. Questa è una zona abbastanza ricca di vigneti e il vino del Margaret River, a pochi km da Perth, è uno dei migliori di Australia. Non vedo l’ora di arrivare al bush, sperando di vedere i canguri, ma so che manca ancora molto a quello. La periferia di Perth è splendida, con casette in fila e ogni tanto piccoli agglomerati di negozi e servizi, come a formare delle piccole cittadine dentro alla città. Niente degrado, niente case abbandonate e ruderi e discariche. Tutto utile, pulito ed in ordine come il centro della città.

Da qui in avanti è una cartolina dietro l’altra di paesaggi unici. Terre brulle, alberi, verdi prati e distese di fiori gialli accompagnano la marcia di questo serpente di metallo per miglia e miglia finchè la traversata dell’intero continente non è conclusa. Appena la presenza umana si dirada si fanno largo fiumi che scorrono su letti rocciosi ai bordi di montagne verdissime coperte di alberi e arbusti. Piante che non ho mai visto da nessuna altra parte. Pochi animali, per lo più uccelli, poche case e qualche auto. Nulla più. Paesaggi incontaminati, brulli e desolati si susseguono l’uno dopo l’altro fino al calare del sole. Poi è l’oscurità completa.

Come si fa a non amare il treno? Questo essere che si insinua in posti che normalmente sarebbero ignorati, come si fa a non amarlo? Il viaggio in treno è un viaggio. Ci si muove lentamente, si osserva tutto, si vedono cose che normalmente non si vedrebbero. Il panorama è sempre vario e capisci il valore della distanza che percorri, centimetro dopo centimetro. Il viaggio in aereo è uno spostamento, è per gente che ha fretta. Se hai fretta di fare una cosa si vede che non ti sta piacendo quello che stai facendo e hai voglia di fare qualcos’altro. Il viaggio in treno è già di per se un’esperienza. Più spazio, più calore umano, più dettagli. Onestamente: come si fa a preferire l’aereo? Questo, poi, è un treno che va piano. Molto piano. Si potrebbe quasi dire che sia una passeggiata attraverso l’Australia. In alcuni punti sembra quasi fermarsi, tanto va piano. E’ un mezzo da viaggiatori d’altri tempi, è un mezzo per gente per la quale l’attesa fa parte del piacere. Per accrescere ulteriormente il sapore del viaggio antico, la carrozza diffonde musica country e motivi suonati col banjo. Tutto fa dimenticare dove si è, trasportando il viaggiatore non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Una moderna diligenza che trasporta i viaggiatori verso l’ultima frontiera dell’ovest americano di fine ‘800, all’ultimo avamposto della civiltà, prima che lo sguardo si perda verso infinite distese di verde e di rosso. Un viaggio epico in luoghi incredibili ed in tempi passati.


Primo bilancio australiano

Perth, WA, 23 ago 2012, ore 14:58, casa mia (ancora per poco)

Così ci siamo, ultimi giorni a Perth. Come sempre quando un capitolo si chiude è bene fare un bilancio.

Innanzitutto il tempo: Cristo come vola qui! Sono quasi sei mesi che sono in Australia, in questa città, in questo quartiere. Ricordo come se fosse ieri quando ci sono arrivato e mi sembrava di essere su un altro pianeta. L’Australia. La sogni per anni e quando ci arrivi le tue aspettative non sono deluse, anzi. Il tempo che vado ad analizzare lo vedo come la barretta che sul PC identifica l’hard disc. Sai quanto spazio hai e questo hard disc è grande un anno. La prima parte di spazio occupato è una barretta rossa che potremmo chiamare driver. E’ il tempo che impieghi ad ambientarti, a capire come girano le cose da queste parti. Inizi a conoscere le strade, la conformazione urbana, i prezzi e gli orari del luogo dove ti trovi. Cerchi un posto dove vivere, un lavoro ed inizi a conoscere le prime persone. Cerchi anche di capire il tuo livello di inglese. Qui non siamo a scuola, non è l’ora che si passa col professore che ti dice che si parla solo inglese ma che poi se tu alla fine non capisci te lo spiega in italiano. Qui è tutto inglese, o meglio australiano, e all’inizio, soprattutto la comprensione, è difficile. Ma poi tutto va a posto, trovi casa, lavoro, amici e inizi ad ingranare. Ed ecco che arriviamo al secondo blocco dell’hard disc. Questo blocco è piuttosto grande, arriva quasi fino a metà e lo possiamo identificare come i file di sistema. Per dirla in maniera meno nerd possiamo chiamarlo anche soldi. E’ tempo che passi a lavorare, facendo anche due lavori e oltre cinquanta ore alla settimana. Tutto pur di cominciare a mettere via quel gruzzolo che ti permetterà poi di viaggiare per tutta l’immensa e meravigliosa vastità di questo continente. E’ un tempo in cui per me ci sono state poche parole e poche foto ma che ha lasciato un solco gigante. Anche se sei mesi non sono niente, Perth è come la mia casa adesso. Ho tanta confidenza con lei. L’ho imparata a conoscere bene. Le strade, i negozi, dove andare a mangiare, dove trovare ciò che mi serve. So tutto quello che devo sapere di lei e so già che tra quattro giorni mi mancherà parecchio. Chi ci è già passato, chi è già stato in un posto e l’ha poi lasciato, dice che la prima è sempre quella che ti rimane più cara. Non importa che sia bella o brutta, che tu veda posti meravigliosi o che sia in vacanza: il primo pezzo d’Australia che ti colpisce è anche quello che ti porterai dentro per sempre, no matter what.

Lasciare il lavoro e la tua casa fa effetto. Mi sono sempre sentito una persona abbastanza nomade e certo non ho intenzione di fermarmi. I Modena direbbero che “un vagabondo sa che deve andare avanti”. Però conosco per la prima volta davvero l’abitudine, la peggior nemica di un viaggiatore. L’anno scorso non rimanevo mai in un posto per più di due settimane. Dopo cinque giorni già sentivo prurito ai piedi e mi stancavo. Dovevo andare, non importava dove né come ma dovevo andare. Questa volta è diverso: è così facile abituarsi a Perth. E non è che io stia tornando in Italia. Quello proprio non lo sopporterei. Sto per affrontare un paio di mesi di viaggio che mi porteranno ad attraversare l’Australia, per arrivare a Sydney e poi su, verso nord, verso il Queensland, le sue spiagge e la barriera corallina più grande del mondo. Un posto da sogno.

Quindi non resta che ricordare che lo spazio più importante di questo hard disc è quello che non è ancora stato scritto, che ora è vuoto ma che si riempirà di nuove avventure e nuove esperienze.

That’s all folks! 

Arrivederci Perth.

 


Una piccola Venezia

Mandurah, WA, 16 ago 2012, ore 15:29, linea Perth – Mandurah

L’ultima fermata della linea arancione della Transperth è Mandurah. Situata a 75 chilometri a sud di Perth, è una cittadina di sessantasettemila abitanti incastonata tra le acque: quelle salate dell’oceano indiano, quelle del Peel-Harvey Estuary e quelle del Serpentine River. Il risultato è un intreccio di comunità urbane e semi-rurali che in alcuni scorci sembrano uscire da una cartolina.

Ad un primo acchito non possiede né l’odore di mare di Fremantle né l’aria profumata di Perth. All’uscita della stazione non è nemmeno possibile vedere il mare, il fiume o un qualunque ammasso d’acqua che non sia l’enorme cisterna di metallo che sovrasta i tetti delle casette in fila. Decisamente non colpisce subito.

Il centro della città, questo sì circondato dalle acque, è composto, vivace e tipicamente australiano. Costruzioni di legno e di vetro si susseguono una dopo l’altra, tutte basse e tutte ordinate e raccolte. Negozi, ristoranti, fish ‘n’ chips. Il traffico è pallido come le tinte pastello degli edifici e il sole che si specchia negli harbour abbaglia e riscalda. Parchi, panchine e percorsi pedonali e ciclistici circondano la Mandjar Bay, la principale insenatura su cui si affaccia la città. La stagione invernale rende il tutto un po’ smorto, spento, quasi appannato, ma è normale pensare a come l’estate possa portare calore sia umano che atmosferico e questa stazione balneare ora così tranquilla.

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Fin qui niente di spettacolare o degno davvero di nota. Bisogna attendere che la passeggiata ci porti fino alla Venetian Canals Residential Area prima di trovare una sorpresa. Quest’ara residenziale è stata chiamata così perché lo spazio urbano si sviluppa su isolotti circondati da canali. Su queste piattaforme di terra edifici moderni e lussuosi fanno trasparire tutto il benessere che l’Australia può vantare. Case residenziali che si affacciano su vie d’acqua e strade che hanno nomi tipo Arsenale Lane, Veneto Lane e The Lido. Lungo i canali quasi immobili scene di ormeggi e di marina che ricordano Venezia come Copenaghen e rendono la barchetta un accessorio indispensabile per i residenti. A pochi passi da queste vie c’è una piccola spiaggia di sabbia e qualche gioco per i bambini.

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Continuando a camminare lungo un ponte che a me ricorda incredibilmente il Valentine’s Bridge di Taipei si giunge al Mandurah Ocean Marina, un porto turistico fatto a ferro di cavallo che ospita, oltre ad innumerevoli imbarcazioni, negozi, ristoranti, il Fishing and Sailing Club e i servizi di rimessaggio per le barche. Una città dentro alla città. Unico neo: le persone. La stagione invernale è la principale responsabile dell’atmosfera malinconica. Molti esercizi chiusi, quasi nessuno in giro, posti deserti, ma è un giovedì mattina di inverno. Non ci si può aspettare la folla delle domeniche estive, le ragazze in bikini e i viali pieni di gente. Sono però anche convinto che d’estate, quando la folla invade davvero ogni centimetro di questo posto, giornate come questa possono anche arrivare a mancare.

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Qualcosa è cambiato

Perth, WA, 24 lug 2012, ore 15:07, State Library

E’ tanto che non scrivo. Il foglio bianco mi fa un po’ paura. E’ tanto che non scrivo perché è tanto che non ho nulla da dire e se non hai nulla da dire le parole non scorrono come dovrebbero. E’ un fatto.

Oggi però c’è qualcosa di diverso.

Questo viaggio è differente dagli altri che ho fatto finora. Qui non è come vivere su un treno in corsa che brucia chilometri di rotaie e che passa da una fermata all’altra. Qui è come farsi una famiglia e poi lasciarla. Negli ultimi mesi ho conosciuto e sono stato a stretto contatto con varie persone. La casa dove abito non è proprio una casa. E’ come un piccolo ostello senza reception e senza titolare. Ci sono una quindicina di camere e una trentina di persone dentro. E’ un luogo vivace, a volte anche troppo, soprattutto nei week-end. Se al sabato sera devi dormire per poter andare al lavoro alla domenica mattina, allora non l’amerai. Ma il luogo, i muri, non sono nulla senza le persone che li abitano. Sono quelle a fare la vera differenza, sono sempre le persone quelle che alla fine contano.

Il mio rapporto con loro è stato bizzarro. All’inizio, i primi giorni che abbiamo cominciato a vivere insieme, non mi entusiasmavano affatto. Non li conoscevo e non mi andava di conoscerli. Poi piano piano la socialità ha fatto una breccia, ha sfondato il muro e ha spianato la via all’amicizia. Curiosa la vita, eh.

Oggi alcune di quelle persone non ci sono più. Non sono morte, sono semplicemente partite, andate verso nuovi orizzonti. Alcune torneranno a Perth, altre no, altre ancora hanno solo cambiato casa e forse è proprio questo il nocciolo della faccenda: la casa, quella che fino a ieri sentivo come inesorabilmente mia anche se abitata da altri, oggi sembra totalmente vuota. Quel microcosmo che si era creato non c’è più. Il rientrare e sentire le voci familiari, le cene in compagnia, il sapere gli orari di tutti e il chiedersi il come mai di questo o quel ritardo, le chiacchiere sul lavoro, i piani ed i progetti per il futuro, le notizie sulla burocrazia, le serate… Tutto andato. Non mi sento tragico nel dire che ho voltato pagina; un capitolo di questo viaggio è stato chiuso e ora ne comincia un altro.

In un certo senso è davvero come ricominciare di nuovo. Perth, giorno uno. La familiarità è uscita e ha lasciato un buco che fino a quando non mi sono messo a scrivere non avevo capito quanto fosse grande. Non è enorme, però è qualcosa che bisogna chiudere. Viaggiando questi buchi che si formano o non sono profondi abbastanza o non si sentono per via della velocità, ma da nomadi sedentari questi buchi si sentono eccome. Qualcosa è cambiato, loro non ci sono più e tutto ha assunto una lieve sfumatura di grigio. Per la prima volta da settimane mi rendo conto quanto sia freddo il mite inverno di Perth. E’ un lato del viaggio che non avevo mai sentito così. Prima era solo gente che va e gente che viene, adesso è un addio, un capitolo chiuso. La differenza è abissale.

Il mio tempo di lasciare questa città sta comunque arrivando. Non ho ancora fatto il biglietto ma conto di partire da qui il 26 agosto, direzione Adelaide e poi Sydney. Alla luce di tutto ciò mi chiedo come sarà lasciare il lavoro. Sarebbe il colmo essere tristi per dover viaggiare. Spero solo che questa città e le persone che ho incontrato possano serbare di me un ricordo tanto speciale come quello che loro lasceranno a me. Comunque, ancora per qualche settimana, niente addii.  Per ora ricordiamoci come eravamo.

Il video è di Sylvie Epifani


WiFi e Antartide

Perth, Australia, 17 mar 2012, ore 10:40, Britannia on William

Mancano appena due ore al mio turno di dodici ore al cinema. Non ne sono entusiasta, ma penso sempre allo stipendio. Se ho capito bene la prima paga mi dovrebbe arrivare giovedì 22. Vedremo se mi hanno raccontato balle o se pagano davvero così tanto.

Nel mentre inganno il tempo andando a caccia di una WiFi che funzioni. Ieri sera per la prima volta in due settimane sono riuscito a connettermi al servizio di internet gratuito della biblioteca. Ci provavo sin dal mio primo giorno e solo ieri ho avuto successo, forse a causa del basso traffico del venerdì sera. Bè, mentre collaudavo questa connessione, mi sono imbattuto in una notizia molto interessante: l’Australia rivendica per sé circa un quarto del continente antartico. Questa pretesa, di per sé, non significa nulla. Quello che conta è che l’Australia abbia delle basi laggiù, e che per queste basi abbia bisogno di parecchia mano d’opera, soprattutto cuochi, elettricisti ed idraulici.

Sul sito governativo dell’Australia Antartic Division è possibile compilare online la domanda per poter lavorare in Antartide. Mi sono chiesto: io sono eleggibile? Da quanto ho capito l’iscrizione è aperta a tutti coloro che risiedono in Australia e possono lavorare. Quindi anche io. Lunedì mattina presto andrò all’ufficio del dipartimento di Perth a chiedere più informazioni possibile. Da quanto ho capito le iscrizioni per il 2012 sono complete, ma cercano già per gli anni a venire. Non so se vale la richiesta con un Working Holiday o se ti facciano un visto speciale per questo tipo di lavoro. Magari ti vale direttamente per ottenere il secondo visto. Chi lo sa? Lunedì andrò e vedrò di scoprire qualcosa. Per il momento andiamo al cinema.



Le botte in su e le botte in giù

Perth, Australia, 13 mar 2012, ore 23:50, Britannia on Williams

Giornata strana. E’ iniziata molto male e poi è esplosa.

Da qualche giorno sto lavorando come proiezionista in un cinema del centro. Non è ufficiale al cento per cento, ma direi di avere avuto il posto. Stamattina ero al lavoro e stavo coprendo il turno al piano. Caramelle, biglietti, pulire le sale dopo il film, cose così. Non ero felice, non ero me, non sentivo la magia. Sarà che non conoscevo bene il lavoro e i miei colleghi non erano il massimo, sarà che il turno al piano non è il mio preferito, sarà tutto questo eppure mi sentivo parecchio giù. Poi all’improvviso suona il telefono, numero australiano. Rispondo ma mettono giù subito. Vado in bagno e richiamo. Ciao, sono Eugenio mi avete chiamato? Sì, ciao, vuoi venire a lavorare nel mio ristorante? Per una frazione di secondo ci ho pensato. E’ una cosa positiva? Lo faccio? Nuovo capo, nuove mansioni, nuovi colleghi…. Lo faccio? Gli ho risposto di sì, ho riagganciato e mi sono messo a considerare a modo la cosa tra una scatola di pop corn media e una Pepsi. Subito pensavo di voler fare troppe cose: due lavori, due orari, due mondi. Non sono tanti? Poi mi sono detto che in fondo avevo solo da guadagnarci, oltretutto che al cinema non ho ancora firmato nulla. Ne ho parlato anche con Umberto e persino lui mi ha detto di provare. “Se rimani a piedi con uno, hai sempre l’altro”. Saggio.

Mentre percorrevo i cento metri che mi separavano dalla fermata del treno di Mosman Park al ristornte mi è venuta in mente un’altra cosa. Ho pensato all’aspetto psicologico della faccenda. Se tutto fosse andato bene, allora mi sarei sentito alla grande, un vincente, uno che si mette in gioco e che ce la fa. Ma se fosse andato male? Se mi avessero detto: “No, guarda, non ci siamo. Sei un coglione, vattene!”, dopo che cosa avrei fatto? Certo mi sarei sentito inutile e magari avrei aumentato quel senso di tristezza che provavo a lavorare al cinema, forte del fatto che avrei dovuto tenermelo ben stretto quel lavoro, perchè non riuscivo a trovarne un altro. E poi….. E poi quei cento metri sono finiti, sono entrato e mi sono presentato.

Da lì in avanti è stato un inferno. Un sacco da fare, un sacco di nozioni nuove, un sacco di ricette, di piatti, di composizioni, di tutto. Piatto fondo, piatto pari, basilico, menta, prezzemolo. E’ stata dura, nulla da dire. Ad un certo punto ho per sbaglio guardato l’orologio. Quello segnava le otto, le otto soltanto. Pensavo che non avrei retto. Poi sono arrivate le nove e lo chef mi ha chiamato. Mi ha chiesto quanto tempo pensavo di rimanere a Perth. Gli ho detto che non lo sapevo, che dipendeva da un sacco di cose. Lui mi ha detto: “Saremmo fortunati se riuscissimo ad averti qui sei mesi!”. Quello è stato un gran momento. Non ho vinto una coppa del mondo e non ho scoperto la cura per il cancro, però mi sono sentito proprio un figo, come se nulla potesse fermarmi, come se potessi fare tutto. Gli ho quindi spiegato la faccenda dell’altro lavoro e lui mi ha detto che se gli do i turni del cinema per tempo, allora lui mi fa gli orari su misura. Tutto per di tenermi. Non so se sarà davvero così, però è una gran cosa.

Tutto questo non per tirarmela o per adagiarmi sugli allori. Tutto ciò per dire come sono i su e giù della vita. Ognuno ne ha avuti e ognuno ne avrà, ma due così in un giorno fanno pensare. Mi ha fatto pensare quanto abbia fatto la differenza tutto l’entusiasmo che quello chef mi ha dimostrato. Se fosse andata male adesso non starei certo scrivendo, però sono sceso in campo, ho giocato e ho vinto. Se avessi perso, e lo dico a posteriori, quindi non vale, comunque sarei uscito a testa alta solo per il fatto di aver giocato. Come disse qualcuno, il pubblico non fischia chi scende in campo, gioca la partita e perde. Il pubblico fischia quelli che se ne stanno negli spogliatoi. Ed è dannatamente vero.


Il treno è passato?

Perth, Australia, 9 mar 2012, ore 22:24, Britannia on Williams

Da quando sono arrivato in Australia e ho cominciato a scriverne su questo blog ho aggiunto nuove parole sensibili ai motori di ricerca. Alcune di queste sono Australia, vivere, trasferirsi. In poco più di una settimana ho riscontrato che le persone che leggono questo blog cercano su Google cose come Trasferirsi in Australia per sempre oppure vivere in Australia. Ma come si fa esattamente a mollare tutto e a rimanere qui per sempre? Ecco quello che ho capito io.

Tutti hanno la facoltà di chiedere al governo australiano un Working Holiday Visa, cioè un visto della durata di un anno, che permette a chi lo esibisce di lavorare in regola nel Paese. Da qui partono quasi tutti. Ma poi? Quelli che si innamorano di questo posto come fanno a far continuare il sogno? La cosa non è facile. Innanzitutto va detto che l’Australia è divisa in territori e che questi territori sono divisi in codici regionali, l’equivalente dei nostri codici di avviamento postale. Sul sito dell’immigrazione c’è un elenco di questi codici regionali che sono considerati speciali. Lo sono perché se si svolgono determinati lavori in queste determinate zone dell’Australia per almeno tre mesi su dodici, allora è possibile essere eleggibili per il secondo visto. Altrimenti è quasi impossibile. L’Australia emette questo permesso perché ha carenza soprattutto di braccianti. I lavori principali che permettono di estendere il visto sono il minatore, il contadino o il muratore. Facciamo un paio d’esempi. Se Paolo va a stare a Sydney per un anno e lavora in un negozio di scarpe per la durata del suo visto, sicuramente se ne tornerà a casa dopo dodici mesi. Se Matteo va a stare nei Northern Territories e raccoglie la frutta per tre mesi, allora molto probabilmente potrà rinnovare il suo Working Holiday Visa. Se si rinnova per il secondo anno e si lavora, comunque poi si ritorna a casa. A meno che non si dimostri al governo una determinata serie di cose elencata sul sito dell’immigrazione, questa è la vita dell’immigrato di oggi in Australia.

Quando ero piccolo e mi lasciavo sfuggire qualcosa, il mio papà mi diceva sempre “Hai perso il treno”. Il treno dell’Australia l’ho perso? Non lo so, per lo meno non ancora. Quello che so è che le file di persone davanti agli uffici di collocamento arrivano alla strada. Quello che so è che gli ostelli sono stracolmi e per alloggiare con continuità bisogna prenotare con settimane di preavviso. Quello che so è che il tizio che stava ieri alla reception mi ha detto che quest’anno c’è stato un boom di presenze del tutto inaspettato ed inusuale. Perché, gli ho chiesto. Tu perché sei qui? Per il lavoro. E’ la cosa che mi rispondono tutti. Il lavoro c’è, non si discute, ma a meno che non si riesca a provare una determinata esperienza in un determinato campo la concorrenza è spietata. Su gumtree.com.au, il sito di annunci più famoso d’Australia, c’è un annuncio ogni cinque minuti, a volte anche meno. Se lo si va ad aprire dopo quindici minuti, se il lavoro offerto è generico, si possono vedere anche quattromila visite ad annuncio. Quattromila visite in quindici minuti. Se il treno non è già partito, almeno qui a Perth, il controllore sta comunque dicendo di affrettarsi.

L’altro giorno sono stato a Freemantle, la cittadina portuale più vicina a Perth. Su moltissime insegne di negozi si può leggere un cognome italiano. Mi è stato detto che Freemantle è stata fondata proprio da colonie di italiani che sono andati a cercare fortuna lontano dalla patria in tempi di crisi. In tempi di crisi come questo. Devo confessare che mi sento un po’ immigrato. Mi sento dentro ad uno di quegli speciali di Rai Storia in cui si parla degli italiani nel mondo. La storia si ripete. Nei momenti bui la gente prende e va, scappa verso quei lidi che sembrano più floridi. non so se starò qui per sempre o se presto me ne tornerò a casa. Quello che so, anche se è poco e banale, è che qui si sta bene, che il governo è brillante ed onesto e che di opportunità ce ne sono a volontà. Aspettano solo di essere colte.


Filosofia d’inizio

Perth, Australia, 7 mar 2012, ore 12:09, Britannia on William

Sicuramente me lo aspettavo più semplice, ma si sa, io sono sempre ottimista. E’ il mio secondo giorno di reale ricerca di lavoro e ancora nulla all’orizzonte. Il fatto che io non abbia un vero e proprio lavoro alle spalle rallenta, ma non blocca. Ogni ora decine e decine di annunci di lavoro vengono pubblicati. Io li leggo e se credo che facciano per me, allora mando il curriculum. Però il telefono non suona. La casa per il momento è un sogno lontano. A parte i costi e la difficoltà nel reperire l’alloggio, la base di tutto è un lavoro dimostrabile per poterla pagare: niente lavoro, niente casa. Partendo dall’Italia mi aspettavo tutto un po’ più semplice, diciamo semplice come la parte burocratica: entri, compili un modulo e inizi a lavorare. Se sei un medico è così, se sei un lavoratore indefinito non è così. A detta di chi ci è già passato questa è la parte più difficile. E’ la parte in cui ti cominci a fare delle domande che non portano a nulla di buono. Ce la farò? E’ colpa mia? Sono un buono a nulla? Facevo meglio a restare a casa? Tutte queste domande sono un’enorme trappola per l’entusiasmo. Ti bloccano, ti fanno pensare che sia tutto inutile. Ti fanno sentire nostalgia di casa. L’Australia paga bene, ma l’Australia costa anche tanto. Se hai un lavoro stai alla grande, da re direbbe qualcuno, se non hai un lavoro devi solo pazientare. Io tutte le domande di cui sopra me le sto facendo. Soprattutto alla mattina, quando vedo che attorno a me tutti vanno al lavoro, mi sento un po’ inutile, ma comunque vado avanti. Però è normale, dicono, è da mettere in conto, è segno che ci tieni e che vuoi fare qualcosa della tua vita. “Dopo i momenti difficili giungono le soddisfazioni” diceva coach Taylor. Qualcuno azzarda e predice il futuro, prevede che nel momento in cui meno te lo aspetti arriverà una chiamata, ti offriranno un lavoro, lo accetterai e tutto andrà a posto. Prevedono. Speriamo.


Cinque buoni motivi per vivere a Perth

Perth, Australia, 3 mar 2012, ore 16:42, Western Australia State Library

Nonostante sia arrivato da poco in questa splendida città, voglio elencare i cinque più evidenti aspetti che mi hanno colpito e che mi porterebbero a pensare che sarebbe davvero stupido tornare a casa.

1 – Le file: è stata la primissima cosa che mi ha fatto dire “Wow!”. Qui tutti fanno la fila. Sempre. Al Mac c’è una fila principale dove tutti si mettono in coda, dopodiché mano a mano che i cassieri si liberano, ognuno ordina il suo pasto. Tutto ordinato, nessuno fa il furbo. Così è anche per l’autobus od in altri negozi. Se si va in banca ad aprire un conto corrente, invece, ecco che arriva una signora gentile e sorridente che ti dà il benvenuto, sente che cosa devi fare, segna il tuo nome e la tua necessità su una lista, ti dice di accomodarti e poi ti viene a chiamare quando è il tuo turno. Il tutto per quattro dollari al mese. Fantastico. Perché gli inglesi non colonizzano un po’ anche l’Italia?

2 – I gatti: no, non gli animali. Gli autobus. Il centro di Perth, la zona più vissuta da tutti, è servita dalla CAT, Central Area Transit, una rete di autobus che passa per ogni fermata ogni otto minuti. Non sono precisi come in Giappone, ma il fatto è ampliamene ricompensato dalla cosa più straordinaria di tutte: questo servizio è gratuito. Già, i gatti, sono gratis. Tre linee che collegano West e East Perth e North e South Perth. Loro girano, ti raccolgono e ti portano dove vuoi andare lungo l’anello che forma il loro percorso senza chiederti nulla. Amore garantito.

3 – Il clima: a pochi giorni dall’inizio ufficiale dell’autunno Perth è divina. I suoi trenta gradi scarsi di sole splendente sono mitigati dolcemente da un vento costante, fresco, che intorno alla prima mattina è quasi freddo, se non si vuole indossare una felpa. Il sole è perenne e il cielo è di un azzurro talmente intenso che fa sembrare anche le nuvole più belle e più bianche. O forse lo sono?

4 – Il verde: non solo i parchi si trovano ad ogni dove, ma l’erba che li compone è decisamente in stile inglese: rasa, pulita e ordinata. Sembra quasi un gigantesco campo da golf. La cosa eccezionale è che quest’erba è fruibile da tutti. Ad ogni angolo, generalmente sotto ad un albero, si vedono persone sdraiate a prendere il sole, a leggere, a dormire oppure bambini che giocano a cricket o che rincorrono gli aquiloni. Anche di fronte ai musei o a questa biblioteca si trovano spazi verdi e sono quasi del tutto occupati. Il parco più grande di Perth, il Kings Park, è grande quasi quanto Perth. In questa parte dell’Australia poi non ci sono nemmeno i coccodrilli o i serpenti velenosi, quindi è davvero il massimo!

5 – Tutto va come deve andare: per quanto possa rivelarsi un affronto imperdonabile al signor Murphy, le cose stanno così! See ya, mates!


Telstra, Commonwealth e Hungry Jack’s

Perth, Australia, 3 mar 2012, 11:06, Hungry Jack’s

Se è vero che “chi ha tempo, non aspetti tempo” oggi sono partito alla grande. Innanzitutto possiedo un telefono australiano, o meglio, il mio iPhone adesso ha una scheda australiana, una scheda Telsra. Questa compagnia mi fornisce un piano tariffario per il quale per trenta dollari australiani ho un credito di duecentocinquanta dollari, quattrocento mb di traffico internet e chiamate e messaggi gratis verso tutti i numeri australiani dalle sei di sera alle sei di mattina. Un ottimo affare. Appena uscito dal negozio di telefonia sono entrato in banca e ho aperto un conto. La Commonwealth Bank fornisce un conto privo di commissioni per quattro dollari al mese. Se sul conto sono presenti più di duemila dollari, allora le spese si azzerano. Tra cinque giorni lavorativi dovrebbe arrivarmi una lettera con dentro il bancomat/carta di credito. Ho dato l’indirizzo dell’ostello e nessuno ha battuto ciglio, sia per il fatto che io viva in un ostello, sia per il fatto che non ho depositato nemmeno un dollaro sul conto. Volevo fare anche il TFL, il Tax File Number, un numero che ha a che fare con le tasse, anche se non ho capito ancora bene in che modo. Ho cercato l’ufficio che mi avevano detto, ma o era chiuso il sabato o io non l’ho trovato. Ci andrò martedì, perché qui lunedì è festa e tutto è chiuso a parte i centri commerciali. Ho anche comprato il giornale, perché al sabato sono presenti gli annunci di lavoro e le case e tante altre cose. Il sabato il quotidiano pesa un chilo ed è pieno di opuscoli e quant’altro. Adesso me lo sto leggendo al Hungry Jack’s, una catena di fast food che ho visto solo qui: hamburger cotti alla griglia e pancetta quasi vera. Il massimo!


A come Australia, P come Perth

Perth, Australia, 2 mar 2012, 18:44, Mac Donald’s

L’ultima ora sull’aereo stavo impazzendo. Speravo quasi di precipitare pur di potere uscire da quella scatola infernale. Come se avesse sentito, l’autista ha cominciato a fare alcuni dei peggiori sali-scendi che abbia mai provato su un aereo. Poi è arrivata lei. Già dall’alto si capiva che era un’altra faccenda. Decollando da Milano la terra è divisa in piccoli quadratini, generalmente campi o cose del genere. Atterrando a Singapore la terra è completamente invasa dalle case; la città-stato non ha spezio per i campi. Arrivando in Australia quei quadratini fitti che si vedevano a Milano sono diventati dei poligoni enormi. “In Australia tutto è più grande” mi diceva Umberto, uno che l’Australia l’ha già conosciuta. Già dall’aereo si capiva che le sue parole nascondevano del vero.

Una volta atterrato e sbrigate le formalità burocratiche senza intoppi (incredibilmente il signor Murphy deve essersi distratto un attimo) corro nel bagno. Non per fare quello che tutti pensano, ma per cambiarmi; via i jeans e la giacca di pelle e benvenuti maglietta e calzoncini. Appena messo piede fuori dall’aeroporto si sente già una sensazione di positività filtrare dall’aria. Promette già bene. La temperatura è perfetta, un buon caldo, non afoso e costantemente ventilato. Si sente anche l’odore tipico che il vento acquisisce in prossimità del mare. Poi comincia Perth. Comincia come un programma di MTV: un sacco di villette ai margini della strada con i pick-up in cortile. Pimp-My-Ride che incontra la regina Elisabetta. Sì perché sarà che si guida a sinistra, oppure la qualità della parlata, oppure non so che cosa, ma si percepisce chiaramente l’elemento anglosassone. Poi le villette spariscono ed inizia la città vera e propria. Qui abbiamo Amsterdam, il suo ordine, la sua pulizia, la sua precisione deliziosamente nordica che incontra Los Angeles: le palme, il mare, il sole, il caldo, la sensazione di party sparsa nell’aria. Le persone sembrano tutte avere uno scopo, un ruolo, un personaggio da interpretare. Non ho ancora visto un barbone. Da grande fan della categoria volevo vedere se anche i barboni in Australia fossero più grandi: non ce ne sono. Il centro è un insieme di case coloniali, grattacieli e zone pedonali gremite di passanti, negozi, giovani, ristoranti e festival. E dietro a tutto questo il mare, la foce del fiume, i lungo-mare e le spiagge. Non vedo l’ora di cominciare a vivere in questa città. Davvero non so cosa poter chiedere di più. Forse è il primo caso in cui le aspettative che mi sono portato dietro da casa sono state superate. Un record, un miraggio. Oppure, qui, anche le aspettative devono essere più grandi.


Ciambella, WiFi e pioggia

Singapore, 2 mar 2012, ore 06:32, Chingai Airport, Terminal 3, Dunkin’ Donuts

Passa il tempo ma il fiuto per le WiFi gratuite non lo perdo mai. Singapore, un anno dopo. Gustando una ciambella da professionista e ingoiando un caffè molto meno professionale, guardo la pioggia spiaccicarsi contro ai vetri scuri dell’aeroporto. Singapore un anno dopo è sempre uguale, almeno l’aeroporto, ma molto diversa. Questa parte del mio viaggio si potrebbe chiamare: domande. Tra qualche ora ho il volo per Perth e io mi chiedo: sarà come mi aspetto che sia? L’esperienza, mi suggerisce di no, a malincuore, ma sinceramente. Troverò lavoro? E una casa? Singapore un anno dopo è diversa, eccome. Non tanto per quello che offre, ma per quello che porto io con me. Un viaggio diverso per un viaggiatore diverso. Quell’euforia mista a paura che avevo quasi dimenticato. Rimettersi in gioco, un gioco diverso ma ugualmente promettente. La pioggia continua a scendere furiosa e io continuo a pensare all’Australia. La terra dei canguri ha catturato tante persone prima di me, le ha colpite e le ha portate via. Succederà così anche con me? Non lo posso sapere; quello che so è che già mi manca il caffè di casa mia.