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Collasso burocratico!

Urumqi, Cina, 20 apr 2011, giorno 99, ore 13:47, ostello

Urumqi è Waterloo e io mi sento Napoleone. Ecco la situazione.

Mentre andavo all’ambasciata kazaka con un taxi mi è venuto in mente una cosa che avevo dimenticato da tempo: il mio visto cinese. A Lanzhou era tutto ok, ma lì ho perso quattro giorni per aspettare il treno. Ho controllato e ho scoperto con rammarico che scade il 24 aprile. Forse ce la faccio, ho pensato, dipende dai kazaki. All’ambasciata era un inferno. Decine di persone accalcate davanti all’ingresso, come animali. Non si capiva nulla. Stavo per rinunciare quando il fato mi ha mandato un angelo: un cinese che parlava inglese, forse il primo che abbia mai incontrato per strada. Mi ha detto che con il mio passaporto potevo entrare evitando la fila, ha sbraitato per dileguare un po’ di calca e sono entrato. Prima di condurmi dentro mi ha accompagnato in una copisteria e mi ha fatto fare le fotocopie del passaporto necessarie per poter ottenere il visto. E’ stato la mia salvezza. Una volta entrato anche i funzionari kazaki si sono rivelati squisiti oltremisura. Parlavano quasi tutti inglese, uno addirittura qualche parola di italiano. Mi ha fatto piacere risentirla, pur con un accento strano. Purtroppo le notizie non erano quelle che mi aspettavo. Cinque giorni lavorativi ci vogliono per il visto, e non è prevista alcuna procedura di emergenza. E’ stata il primo colpo della giornata, e non sarebbe stato il più duro. Esco e valuto la situazione. La cosa migliore da fare è andare all’ufficio cinese ed estendere il visto, ho pensato. Ho preso un altro taxi e mi ci sono recato. Anche qui, all’interno era un putiferio. Anche qui, sorpresa ironica, ho trovato tutti i funzionari che parlavano inglese. Le brutte notizie mi sono arrivate ben chiare all’orecchio. Chiedo informazioni sull’estensione del visto. La procedura richiede cinque giorni e un sacco di carte di cui non ho capito bene la natura. Non ho cinque giorni, e anche se li avessi questo vorrebbe dire attendere ad Urumqi per almeno 15 giorni lo sbroglio di tutta la matassa burocratica. Impensabile. Secondo colpo. Sono ad un punto morto, non posso nè restare nè andarmene. La mia mente, almeno una parte di essa, ha iniziato a pensare cose inutili. Tutte cominciavano con “E se…”. E se ci fosse stato il posto sul treno a Lanzhou? E se fossi andato a Xian anzichè a Xining di ritorno dal Tibet? E se non mi fossi ammalato? E se fossi rimasto in Mongolia coi ragazzi francesi un’altra settimana? E se avessi avuto quattro giorni in più. Quattro giorni e ce l’avrei fatta. L’altra parte del mio intelletto mi diceva che era inutile recriminare il passato e piagnucolare sul presente. Non fa altro che appesantire una situazione già abbastanza pesante. Le cose stanno così: adesso bisogna rimediare. La Thailandia è un’ipotesi da scartare. La fortuna vuole che all’ambasciata kazaka abbia incontrato due belgi che mi hanno informato di non essere stati in grado di ottenere il visto kazako in India. Forse la lontananza dal confine implica le stesse regole che valevano per me a Budapest. Quindi andare in Thailandia non mi serve per tornare a casa lungo il mio itinerario. Potrebbe rivelarsi solo uno spreco di denaro, esperienza a parte. Non sono povero, ma le mie finanze sono in quel momento delicato in cui non bisognerebbe commettere errori. Altrimenti si deve andare a prestito e io non voglio farlo. Voglio fare quello che posso con quello che ho.

La mia sola soluzione è l’aereo, scelta obbligata in questo frangente, ma anche qui le notizie non sono affatto buone. Avevo pensato di prendere un volo per Tallin, Estonia. Da qui avrei potuto ottenere, se la memopria non mi ingannava, un visto russo e salvare un minimo del mio itinerario. Il volo Urumqi – Tallin costa 1500 euro. Fuori budget. Mi sono allora ricordato che mentre andavo in Giappone ho fatto scalo ad Helsinki. Qui ho letto una pubblicità: “Helsinki Airport, your gate to Asia”. Ho cercato un volo per Helsinki, che confina con la Russia ed è ad uno sputo da Tallin. Il volo costa 470 euro. Perfetto! E invece no. La compagnia è la Aeroflot, la compagnia russa, e il volo fa scalo a Mosca. Io non ho il visto russo e non è possibile ottenere nemmeno un visto di transito all’aeroporto. Almeno secondo il sito del ministero degli esteri. terzo durissimo colpo. Il mio morale è ai minimi storici e ho finito gli assi nella manica. Forse ci sono altre soluzioni, ma al momento mi sfuggono. La soluzione estrema è un volo per Bologna, ma non mi sento pronto. E’ successo tutto troppo in fretta, troppo inaspettatamente. Pensavo di avere ancora almeno un mesetto, e invece esiste la concreta possibilità che io abbia un’ottantina di ore prima di essere costretto al rimpatrio. Ho mandato una mail all’ambasciata russa in Italia, ma da quanto mi ricordi non sono celebri per le loro celeri risposte, e io ho tutto fuorchè il tempo. Proverò a cercare altri voli, altre compagnie. Oggi pomeriggio andrò a cercare delle agenzie di viaggio, ma temo che la situazione ormai si sia delineata. Sono davvero in un cul-de-sac. Tuttavia non mi sento ancora sconfitto. Il mio spirito sognatore sente che interverrà qualcosa a trarmi d’impiccio, ma è solo una vocina. Intanto però applicherò al tempo rimasto il più grade proverbio che sia mai stato inventato: “Aiutati che il ciel t’aiuta”. La situazione è intricata. Se qualcuno legge questo post e ha soluzioni alternative non esiti a contattarmi. Stavolta ho davvero bisogno di una magia. L’avventura asiatica forse è giunta al termine. Spero solo con tutto il cuore che non sia anche la fine del viaggio. E’ troppo per il novantanovesimo giorno. Attenderò gli sviluppi del pomeriggio.


Le città della Cina

Urumqi, Cina, 19 apr 2011, giorno 98, ore 22:25, ostello

Urumqi. Con i suoi 2250 chilometri di distanza è la città più lontana da un oceano sulla Terra. Passeggiando mi chiedo quanti di quelli che mi circondano e mi guardano abbiano mai visto il mare o mai lo vedranno in vita loro. Urumqi. La mia porta di accesso al Kazakistan o alla Thailandia. Dipenderà dai burocrati, anche se per quello che riguarda la Thailandia sarebbe un piccolo escamotage. Con un aereo si va dappertutto da qualunque punto di partenza. Qui ci sono molte persone non orientali, senza occhi a mandorla per dirla spiccia. Deduco che siano kazaki o kirgiki o discendenti tali. I cartelli hanno tre lingue: cinese, cirillico e arabo o farsi, non li distinguo. L’inglese qui è una lingua morta. I musulmani erano già tanti a Lanzhou, ma qui i cappellini bianchi sono quasi la prassi. Le moschee sostituiscono lentamente ma inesorabilmente i Buddha e i templi. Mi mancheranno. Sebbene sia arrivato da non più di dieci ore, ho già capito a grandi linee di che cosa si tratta. E’ la Cina B. Ho sviluppato una teoria. Le città della Cina hanno tre categorie: A, B e C. Le città di categoria A, come ad esempio Beijing, Xian, Chengdu, immagino Shanghai, Hong Kong, sono città effettivamente moderne, con servizi “all’europea”, con monumenti e attrazioni degni di essere visitati. Hanno storie da raccontare, carattere, personalità. Sono città che rispecchiano il secolo in cui viviamo, almeno dal mio punto di vista, dalla prospettiva di un europeo che vive in Italia. La Cina B è diversa. Sì, è una Cina che ha l’apparenza della sorelle di categoria A, ma se analizzata da vicino presenta molte differenze. I suoi grattacieli, le sue strade, i suoi cantieri fanno pensare ad una città moderna, ma riflettono una crescita in atto, un potenziale sviluppo che non è ancora avvenuto. Sono timide, sciatte, a volte pompate dall’urbanistica governativa.  Sono più indietro di qualche decennio, ecco tutto. Non trovi tutto, non hai tutti i servizi, c’è poco di concreto da assorbire. Hohhot, Lanzhou, Xining, Guangzhou, Urumqi ne sono alcuni esempi. E’ una Cina che rincorre le capoliste, una Cina da metà classifica che arranca per cercare di raggiungere la zona Europa. E non solo metaforicamente parlando. La Cina C, in ultimo, è quella prettamente rurale. E’ la Cina in cui i contadini vanno in città per vendere le uova, in cui le donne girano coi cesti di vimini attaccati ad una canna di bambù, che non ha molte linee elettriche, che lavora i campi senza trattori o macchinari, la Cina che è povera e arretrata. L’ho vista poche volte, per lo più durante gli spostamenti, e quelle volte che l’ho incontrata sulla pelle (un esempio il post “Uomini e topi” o “Il popolo che ride”) ha avuto effetti a volte da sogno, a volte da incubo. Ma così è la Cina, almeno la Cina di oggi vista con i miei occhi. Urumqi. Speravo in una città A, ma mi dovrò accontentare di quello che ho.

Cercavo una qualche guida per il Kazakistan, ma non ve n’è traccia. Ho frugato in tutte le librerie intenazionali, due, ma niente. Qualunque sia la mia prossima meta, dovrò arrangiarmi senza guida. L’ho già fatto, ma era diverso. Avrei voluto valutare qualche opzione, se fosse stato meglio il Kazakistan o il Kyrgyzstan, ma dovrò andare a naso, seguire l’istinto. La Lonely Planet, o una qualunque concorrente, non è ancora arrivata da queste parti. Di attrattive non ce ne sono molte e spero che domani all’ambasciata mi diano buone notizie sia per quello che riguarda i tempi di attesa, sia per la fattibilità della faccenda: il visto per il Kazakistan. Sono abbastanza tranquillo, ma se dovessero esserci dei problemi sarei fregato. Un cul-de-sac. Di tornare in Mongolia per poter arrivare in Russia non se ne parla. Sono dall’altra parte del Paese, dovrei tornare a Beijing, fare il visto mongolo, arrivare a Ulaanbaatar, aspettare venti giorni un visto russo da 150 dollari americani e poi andare a Mosca. Mi fregherei comunque il Kazakistan. No, l’unica speranza è che l’ambasciata non faccia storie e faccia presto. Un’altra opzione che immagino possa esserci è quella di arrivare ad Almaty in aereo e fare il visto in aeroporto, ma non so se il Kazakistan lo concede. Mi informerò. Per il momento non posso far altro che andare a dormire in questo ostello che non è dei migliori che abbia frequentato di recente. Le stanze sono accettabili, ma i bagni è come se non ci fossero. Ricordano quelli di una discoteca italiana alle sei di mattina. Non credo che mi laverò spesso. Spero sempre di più che l’ambasciata faccia presto e non faccia storie.


Freddo, burocrazia e strategia

Ulaanbaatar, Mongolia, 21 mar 2011, giorno 69, ore 16:27, ostello

Di ritorno dalla mia avventura in mezzo alla steppa, la prima cosa che ho fatto è stata andare al gabinetto. La seconda è stata una doccia calda.  Sono quelle piccole soddisfazioni che ti riempiono la vita. Una volta vestito mi sono messo alla ricerca di un equipaggiamento invernale serio. I primi negozi che ho visitato, quelli del centro città, avevano prezzi da Italia, quindi non li ho presi nemmeno in considerazione. La mia unica altra alternativa valida era il mercato nero, così ci sono tornato. Mi sono diretto subito nella zona che avevo visto essere ricca di articoli di mio interesse, e una volta trovato una bella giacca militare mongola imbottita mi sono messo a contrattare. La contrattazione in mongolo non è il mio forte, quella in inglese non è il loro, così ci siamo basati sul linguaggio universale delle transazioni commerciali: i numeri. I cellulari sono una grande invenzione, in questo caso, perchè ti permettono di capire e di farti capire. Basta scrivere quello che vuoi pagare come se fossero numeri di telefono. Non mi ci è voluto molto per trovare tutto quello che mi serviva. Una giacca imbottita, un paio di stivali e un paio di guanti. Il tutto per meno di 35 euro. I pantaloni non li ho trovati, ma dovrei cavarmela in qualche altro modo. Sulla via di ritorno mi sentivo euforico. E’ incredibile come la sensazione di calore cambi il tuo modo di approcciarti a qualsiasi cosa. Adesso non solo non ho più freddo, ma ho anche l’aspetto di un mongolo. E loro sembrano apprezzare.

Ritornato all’ostello ho fatto un’altra grande scoperta che potrebbe cambiare tutto il proseguimento del mio viaggio. In un’agenzia di Ulaanbaatar, consigliatami dai ragazzi francesi, ho scoperto che posso ottenere il visto turistico per la Russia per 155 dollari americani e aspettando due settimane. Niente code, fogli, assicurazione sanitaria; niente. Solo soldi. Questa è una grande notizia. Come se non bastasse, controllando la posta ho trovato un messaggio di Manuel, l’italiano che ho incontrato sul treno per Ulaanbaatar, nel quale mi diceva che presso la sua agenzia sarei in grado di ottenere persino il visto per il Kazakistan. Questo vorrebbe dire che al mio ritorno potrei fare quasi tutto quello che non ho fatto all’andata. Grandi notizie. Devo ancora verificarle di persona, ma sono pittosto fiducioso, poichè le fonti sono valide. Se tutto si rivelerà essere così come ho detto, tornerei presto in Cina, andrei in Tibet e in Nepal e poi me ne tornerei a casa felice e contento con la transiberiana. Sarebbe l’epilogo degno di un viaggio del genere. Incrocio le dita.