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La Religione

Ulaanbaatar, Mongolia, 23 mar 2011, giorno 71, ore 16:05, ostello

Bene o male credo di essermi fatto un’idea generale di tutte le religioni più importanti. Nel corso dei miei viaggi ho avuto a che fare con ogni sorta di Cristiani, Musulmani, Buddisti, Shintoisti e quant’altro. Tra chiese, moschee e templi, non voglio passare certo per un esperto di teologia, quale non sono, ma c’è una cosa che devo dire accomuna tutti questi credi: tutti gli Dei hanno bisogno di soldi. Che siate in un tempio buddista, in una cattedrale cristiana o in una moschea musulmana, avrete sempre la possibilità di comprare la grazia del vostro Dio preferito tramite offerte e donazioni. E’ una cosa incredibile. Se siete musulmani e vi recate in pellegrinaggio a Istambul alla moschea blu, potrete fare un’offerta alla moschea che verrà certificata con una ricavuta. Una ricevuta. Questo forse perchè possiate farne sfoggio con i vostri amici una volta tornati a casa, per dimostrare loro che bravi musulmani siete,  oppure perchè quando creperete, nel caso la vostra sorte fosse incerta e Allah avesse perso la matrice, voi potrete mostrare la vostra ed assicurarvi così un posto in paradiso. Sempre che i vostri parenti abbiano messo la ricevuta nella tasca del vostro abito funebre. I buddisti, invece, sono più per il divertimento legato all’offerta. Nei templi giapponesi e cinesi è possibile cambiaro denaro contante con dischi di ferro o monete da gettare a volte all’interno di un cerchio, a volte contro una campana. Se fate centro o fate suonare il cembalo, la fortuna è assicurata. Sono procedure discutibili, fanno pensare quasi ad una tangente, ma non è questa la cosa che più mi sconcerta. Ciò che mi lascia allibito è il fatto che io abbia visto più e più volte individui poverissimi donare al Dio di turno alcuni di quei pochi denari che possedevano. Gente affamata e malvestita che anzichè impiegare il denaro per la vita corrente, lo impegna per la vita futura. Ho visto straccioni donare frutta e biscotti in Cina e monaci ben pasciuti sgranocchiare quegli stessi biscotti tra una preghiera e l’altra. Perchè diciamolo: Dio non mangia i biscotti, ma i monaci sì. Teoricamente Dio non ha bisogno nè di casa, nè di denaro, nè di servi, perchè colui che ha creato il mondo, gli uomini, il bene e il male, potrà anche fare a meno del denaro, dico io. Se proprio è ingordo potrebbe crearselo da sè. Ma le istituzioni religiose no. Non ne ho mai viste rifiutare le offerte, non ho mai visto monaci o sacerdoti dire ad un fedele “No, sei troppo povero. Questi soldi tienili tu. Dio capirà”. O Dio non capisce oppure non gli importa. Perchè il flusso di denaro è a senso unico. Non ho idea di come l’autorità ecclesiasitica impieghi il denaro. Certo non per coloro che lo donano, se non in minima parte. Se la parrocchia di Buddha di Ulaanbaatar impiegasse il denaro delle offerte per donare una domenica un aratro al signor Rossi che ha rotto il suo, un’altra domenica per pagare le medicine al signor Bianchi che non può permettersele, allora capirei. Sarebbe un trionfo di umanità. Persone che seppur povere si aiutano a vicenda tramite la mediazione religiosa. Sono oltremodo sicuro che se funzionasse così, nessuno farebbe offerte e tutti si precipiterebbero a recriminare miseria alla porta del tempio. Se non si ottiene nulla, doniamo tutti. Se si riceve qualcosa, ci catapultiamo ad arraffare in massa. La stupidità umana nella sua forma migliore. Ma non c’è da preoccuparsi, è una cosa impossibile a verificarsi. Il Signore dà false speranze e riceve denaro sonante. E’ senza dubbio la truffa più grande della storia. Sì, perchè essendo il premio finale la vita eterna dopo la morte, l’unico modo per scoprire se davvero esiste un Dio e un paradiso e un inferno è quello di crepare. E io non ho mai visto un morto presentare reclamo all’ufficio della curia. Davvero ben pensata. Ripenso a quelle due anziane che mi hanno superato sulle scale del monte Wudan per arrivare al tempio d’oro posto sulla cima per dire una preghiera e donare a Buddha una latta da venti litri d’olio. Venti chili trascinati a fatica sul monte da due settantenni per permettere a Buddha di friggersi i noodles. Non mi metto a parlare dei Cristiani e del Papa perchè non ho abbastanza spazio in wordpress e perchè sarebbero pixel troppo bollenti. Anche qui, però, non è che vada meglio. Se qualcuno volesse approfondire la faccenda denaro – Chiesa, consiglio il libro “La questua”, di Curzio Maltese. E’ un libro che fa incazzare, ma fa capire. Sull’esistenza di Dio consiglio quello di Richard Dawkings “L’illusione di Dio”. C’è perplessità, in me, dopo questa riflessione. Parlando di dottrina pura e semplice, ogni religione ha insiti in sè dei princìpi di valore che sono propri di ogni uomo. Belle parole, chi più chi meno. I cristiani e i musulmani sono tifosi troppo sfegatati nei confronti del loro Dio. Non avrai altro Dio all’infuori di me e Allah è l’unico Dio e Maometto il suo profeta. Qualcuno si sbaglia. Ma i buddisti sono più filosofici, più aperti alle opinioni diverse. Quasi una democrazia in un mondo di totalitarismi. Ma quando si parla di soldi sono tutti una grande famiglia, una famiglia di bisognosi che accetta denaro da chiunque e in qulunque modo. C’è chi compra vestiti, chi automobili, chi parlamentari e chi un posto in paradiso. Non sono ancora riuscito a trovare delle risposte nella religione. Quei princìpi così bene espressi nelle parole che le costituiscono cozzano irrimediabilmente con i comportamenti di chi le professa. A conti fatti è quasi meglio credere in Google: anche lui è onnisciente. E anche lui accetta denaro sonante.


Ultimo probabile post dal Giappone

Osaka, 3 feb 2011, giorno 23, ore 13:17, Kensai Airport

Eccoci qua: l’aeroporto. Mi piace proprio un sacco essere un viaggiatore. Quando hai lo zainone in spalla la gente ti guarda diversamente. Alcuni hanno facce del tipo “Se non ti invidio”, “Pesa, eh?”, “Ma guarda stò barbone”, ma altri hanno facce diverse, le facce di chi sta pensando “Chissà dove va, da dove viene, dove sarà”, oppure “Quanto vorrei fare come lui”. Tutte queste facce si sentono addosso sui mezzi pubblici, alle fermate, camminando per la strada. Quando però si arriva all’aeroporto tutto cambia. Secondo me anche l’aria ha un odore diverso negli aeroporti. E’ tipo un misto di tante arie che ogni viaggiatore si porta con se. Mi piacciono gli aeroporti, perchè sono indiscutibilmente un simbolo del viaggiare. E mi piace essere all’aeroporto per conto mio. L’unica cosa che non mi piace degli aeroporti è prendere l’aereo. Vorrei poter dire che questo sarà il mio ultimo aereo, ma sarbbe una bugia enorme. Per uno che detesta volare lasciarsi alle spalle ogni Paese con un aereo è davvero il colmo, ma qui le compagnie aeree hanno veramente prezzi bassissimi. Si potrebbe arrivare in Australia da Singapore spendendo meno che ad andare da Modena a Milano in treno. E’ troppo conveniente, quindi credo che in futuro ne approfitterò.

Fine del Giappone. Un po’ dispiace, ma nemmeno più di tanto. Da quando ho parlato con quel tipo belga vedo tutto in maniera differente. Sicuramente è suggestione, ma da quando si è parlato di quel muro non faccio altro che vederlo dappertutto. Stamattina, venendo qui, ho provato una piccola dose di odio nei conbfronti dei giapponesi. Lo ammetto, è andata così. Non so, però certe volte sembrano tipo dei cavalli col paraocchi, dei robot. Una volta insegnata loro un procedura, loro la applicano senza mai interrogarsi sulla sua validità, senza effettuare eccezioni, senza usare il cervello. Ero seduto su un sedile pighevole sul treno e avevo lo zaino schiacciato sotto di esso. Il sedile aveva due posti e accanto a me si è seduta una donna di mezz’età. Mi ha ringraziato, sedendosi. Poco prima di arrivare alla fermata mi sono alzato in piedi e ho cominciato a prepararmi per scendere. Lo zaino non voleva uscire perchè era incastrato sotto al seggiolino e la vecchia mi guardava come un’ebete. Io la guardo come per dire “Bella, se alzi il culo io tiro via lo zaino”, ma quella continuava a guardarmi come un’ ebete. Io allora tiro con grande grinta, il sedile si alza, la vecchia sobbalza e io tiro via lo zaino. Bla bla di polemica sul modo di condurre la procedura. Fermatosi il treno sono sceso e mi sono fermato davnti alla porta. Ho pensato “Scommetto che adesso scende”. Infatti, dopo qualche istante, la vecchia si è alzata ed è scesa. Avrei voluto menarla. Forte. Anche in autobus è successa una cosa del genere. In Giappone il biglietto dell’autobus si paga alla fine, prima di scendere, alla macchinetta che sta di fianco all’autista. Ci volgiono i soldi contati, quindi accanto ad ogni macchinetta c’è un cambiamonete. Io avevo solo 1000 yen, quindi quando è stato il momento di scendere mi sono messo lo zaino in spalla e sono andato a cambviare. L’autista mi ha visto e ha cominciato a sclerare perchè bloccavo la fila. “Haina waina haina waina!!!!!”. E dove me lo metto? Pago e scendo. Stai calmo. Non so, però non credo che vorrei essere un giapponese. Vivono troppo dentro a una scatola. Se noi italiani siamo troppo da una parte, loro sono troppo da un’altra. Ci vorrebbe un equilibrio, una via di mezzo. La virtù sta nel mezzo, appunto. E’ vero che qui ho visto cose che credevo succedessero solo nei film e che il livello di onestà è tale per cui potevo permettermi di andare al bagno nei luoghi pubblici lasciando le mie cose sul tavolo, però è vero anche che questa è una cosa che salta subito agli occhi, mentre la loro “robotica” necessita di più tempo per essere notata. Il bilancio è sicuramente positivo, più che positivo, ma non siamo certo all’eccellenza. Quanto al chiedermi se vorrei vivere qui, bè forse a Tokyo. Non per sempre. Dopo un po’ la mia natura “umana” verrebbe fuori e o mi farei saltare in aria in ufficio per uccidere tutti i colleghi “robot” o mi caccerebbero loro per distubo della quiete lavorativa. Ma forse tutto questo è frutto di una conversazione particolare e di una mattinata ricca di coincidenze. Non lo so. Sta di fatto che adesso sono in aeroporto e domani è un altro giorno. Sayonara…


La bellezza di una lettera

Kyoto, 2 feb 2011, giorno 22, ore 16:35, Kyoto Hostel

Un viaggio come questo regala certamente emozioni. Posti, genti, usanze, caratteri sono tutte cose fantastiche che si scoprono ogni giorno in mille forme diverse. Quello che però sto scoprendo del tutto inaspettatamente sono le lettere che mi arrivano ogni tanto. Così, all’improvviso, la letterina della mia posta elettronica brilla e c’è qualcuno che parla con me. A volte lo conosco, a volte no. Però dietro c’è sempre il desiderio di comunicare, di dire qualcosa, bella o brutta che sia. Una fila di parole mi giungono dall’altra parte del mondo e la giornata migliora in un attimo. Il potere delle parole. Non fatevi ingannare: parole e idee possono davvero cambiare il mondo. E anche le persone. Mi immagino i posti e i momenti in cui queste lettere vengono scritte. Magari dall’ufficio, o da una camera, prima di iniziare a lavorare o la sera quando si rientra. Non importa. Tutte le volte fanno piacere, così come mi fanno sperare che una volta letto un post, la gente non chiuda subito la porta dell’immaginazione, ma vada su un motore di ricerca per voli aerei low cost e viaggi con la fantasia verso un posto nel mondo in cui si desidera andatre. Una vacanza di cinque minuti. Forse qualcuno più coraggioso un giorno si lancerà e cliccherà sul pulsante “Prenota” e partirà, farà la sua esperienza e poi tornerà a casa. Se così sarà, mi piace pensare che un po’, in fondo, sia anche colpa mia.


La miglior sigaretta della mia vita

Kyoto, 1 feb 2011, giorno 21, ore 23:18, Ginku-Ju

La miglior sigaretta della mia vita l’ho fumata per caso. Finito di mangiare non avevo voglia di rientrare, così mi sono infilato l’iPod nelle orecchie e ho iniziato a camminare. Non sapevo dove stessi andando, vagavo a caso per le vie rese irriconoscibili dalla notte avanzata. Quasi per caso mi sono ritrovato in un punto che conoscevo, nei pressi di un tempio che avevo visitato tempo fa. Mentre salivo le vie che mi portavano laggiù, pensavo al ricordo che avevo di quelle vie. Durante il giorno erano piene di gente e di negozi, di ambulanti e di turisti. Adesso, di notte, tutto è deserto. Giravo come un gatto nero lungo i vicoli. Pche luci, nessuno in giro. E’ tutto mio. La pagoda che precede il tempio adesso fa paura. E’ tutta buia, ma anche assorta nelle tenebre mantiene una maestosità che col buio si tinge di minaccioso. Aumento il passo e cerco di non pensarci. Arrivato al tempio trovo una brutta sorpresa: alcuni lavori in corso impediscono la mia visita notturna. Non me la prendo, ritorno sui miei passi. Un poliziotto di fronte a una scalinata mi fa un inchino. Ricambio e vado avanti. Poi è arrivato il momento magico, quello che dà senso a tutto il viaggiare. La strada si è aperta di fronte a me e tutto intorno solo Kyoto. Luci su luci, milioni di stelle di una galassia terrestre che si estende fino al limitare delle colline. Sopra a tutto la Kyoto Tower, che sorge dalle luci, svettante come un razzo in partenza dal Kennedy Center, bianca come l’avorio della torre di Babele. Qui i muri non ci sono più, sono caduti. C’è solo il vento. Il vento, io e la città. Coi Pearl Jam nelle orecchie ho preso in mano il mio taccuino e mi sono sentito l’uomo più ricco del Giappone. Un imperatore per la durata di una sigaretta.


Cinema, sale giochi e Thailandia

Kyoto, 1 feb 2011, giorno 21, ore 00:49, letto

In un Paese che lavora non c’è certo tempo da perdere per attività che non riguardino questa sfera. Il passatempo preferito dai giapponesi non dev’essere il cinema. Il karaoke, il pachinko e le prostitute sì, il cinema no. Dico questo perchè qui l’ultimo spettacolo, il “late show”, inizia alle otto. Finito quello il cinema chiude e si va in branda. Contando che da dove vengo io i cinema aprono alle otto devo dire che sono rimasto un po’ stupito. Ero andato al cinema perchè mentre visitavo il museo dei manga mi sono imbattuto per caso in un fumetto dal titolo Gantz. Sempre per caso ho scoperto che al cinema era appena uscito il film tratto da questo fumetto, un’esclusiva giapponese. Non sapendo se ci sarebbe stata un’esportazione di questa pellicola, magari tradotta, avevo deciso di guardarmelo in giapponese e sperare di capirci qualcosa. Ma la laboriosità giapponese mi ha detto di no. Scoraggiato ma senza alcuna voglia di tornarmene in ostello ho deciso di andare in sala giochi. In Giappone, patria dei videogame, sono molto diffuse e sono enormi. La sala giochi media è distribuita su sette piani, ogni piano una sezione a tema, ogni sezione è grande come un casinò. Tutto contento della mia decisione decisi di provare uno sparatutto in 3D che riproponeva il tema del vecchio videogioco Metal Gear Solid. Inserisco 100 yen e inizio a giocare. Tutto è in giapponese. Ci ho provato per tipo un quarto d’ora a iniziare il gioco ma non c’è stato verso. L’unica cosa che sono riuscito ad ottenere è stato fare l’addestramento. Speravo di smacellare qualche gangster o terrosrista, invece mi sono ritrovato a fare 15 minuti di tiro al bersaglio con occhiali 3D e un fucile di plastica delle dimensioni di uno vero. Game Over. All’ultimo piano ho trovato anche le freccette. Mi sono messo a fissare un tipo che giocava (abitudine che devo perdere perchè in certi altri posti poi succedono brutte cose) e dopo un po’ lui si volta e mi chiede se voglio fare una partita. Non sono molto bravo con le freccette, anche se ultimamente ho fatto un po’ di allenamento. Accetto e iniziamo una partita a Cricket. Inizio io. Nel primo tiro ho fatto 1, 20 e triplo 20. Una gran botta di culo, devo ammetterlo, ma ero carico. Il tipo, in risposta, mi fa un triplo 20, un 18 e un 19. Mi ha fatto male e non ho la stoffa del campione, quindi dopo che lui ha chiuso tutto in tipo dieci turni, ho ringraziato e con la coda tra le gambe sono ritornato in ostello. Qui ho trovato un belga nella sala comune. Ci siamo messi a parlare un po’. Viaggiatore anche lui come me, è da un mese in Giappone e ha speso circa tremila euro. E’ uno che non sta tanto a guardare dove mette i soldi quando viaggia. Vuole stare bene. E’ riuscito a spendere 1000 euro per un mese anche in Thailandia, dove tipo per vivere bene ti bastano 10 euro al giorno. Come ha fatto? Semplice: albergo di lusso, massaggi ogni giorno e prostitute. Bè, così è decisamente facile. Abbiamo anche parlato delle nostre impressioni sul Giappone e sull’Asia. Lui che ne ha vista più di me (per ora) mi ha detto che dovunque vada sente una specie di muro, una barriera che gli abitanti dei vari Paesi da lui visitati mantengono nei confronti degli stranieri. Stranieri: in Giappone si dice Gaijin, ed è una brutta parola. Significa straniero cattivo, malvagio, di cui non ci si può fidare. Ma è l’unica parola che hanno.  In Thailandia si dice Farang, ma c’è anche una parola per dire straniero normale. Abbattere questo muro in Giappone secondo lui è impossibile, in Thailnadia ce la fai, soprattutto se ti metti a parlare la loro lingua. Se vedono che ti sbatti per imparare ad essere un po’ più come loro, allora ti rispettano. In Giappone no. Non so se siano notizie certe, sta di fatto che effettivamente di questo muro ne ho visto una parte anche io, tipo quando in metro il posto accanto al tuo è libero e nessuno si siede, o quando fermi qualcuno per la strada per chiedere informazioni e questi sussulta come se si fosse spaventato. Ok, questo muro c’è, ma la loro educazione gli impone di darlo a vedere il meno possibile, di aiutarti se sei in difficoltà, e per questa loro dimostrazione di classe io li rispetto molto, soprattutto se è vero che io per loro sono solo un Gaijin. Una conversazione interessante la nostra, soprattutto nel punto in cui mi ha detto che di lavoro fa l’artista di strada, con tanto di licenza. Lavora tre, quattro giorni a settimana, qualche ora, e sta in giro tre o quattro mesi all’anno. Niente male, considerando che io per questo viaggio, per stare via nella maniera più economica possibile, ho lavorato per un annetto e fatto vita da eremita. Magari, quando torno, mi iscrivo a un corso per giocoliere.


Buffering

Kyoto, 31 gen 2011, giorno 20, ore 18:30, Kyoto Hostel

Ogni tanto capita di non avere voglia di fare niente. Oggi è uno di quei giorni. E’ lunedì, molta gente va al lavoro, a scuola, i turisti in giro per le città. C’è chi prende un aereo per tornare a casa, chi ne prende uno per partire e chi invece vuole solo guardarsi un film sdraiato sul divano della sala comune dell’ostello. Io sono quel tipo. Niente visite, foto, esperienze: solo un film. Qui entra in gioco la tecnologia e l’organizzazione. Una persona furba sarebbe partita da casa con qualche film nel portatile, giusto in caso di giornate come questa. Sarebbe stato facile, ma a quanto pare io non sono tanto furbo. A questo punto entra in gioco la tecnologia. Per quanti non lo sapessero oggigiorno è possibile andare online e reperire gratuitamente quasi qualunque film in qualunque lingua. Ci sono anche appositi motori di recerca che ti aiutano nella scelta. Unico problema, una volta scelto il film, è il buffering. La traduzione letterale sarebbe “tamponando”, ma si può anche dire “aspetta che il video non si è ancora caricato del tutto”. In entrambi i casi è una palla. Ci sono dei giorni in cui va tutto liscio, il video scorre normalmente e tu ti godi il film. Ci sono però anche giornate, come questa, in cui ogni due secondi ti appare sul monitor la scritta buffering. Guardare il film è quindi impossibile. Ho provato di tutto: aggiornare la pagina, spostarmi tra le varie stanze dell’ostello per una migliore connessione, accelleratori. Niente da fare. La soluzione è solo aspettare che si carichi una parte abbastanza lunga del film e poi farlo ripartire.  L’alternativa che offre questo ostello è uno scaffale pieno di film in videocassetta: tutti in giapponese. Non è una soluzione che mi sfagiola, quindi ho deciso di aspettare. Devo confessarlo: questo post è stato scritto solo per ingannare l’attesa che mi separa dal mio film. Buffering…


Tre storie

1 LA CACCA

Nara, 29 gen 2011, giorno 18, ore 15:17, giardini pubblici

L’ostello di Kyoto è complessivamente un bell’ostello. Ubicato su cinque piani, ha due sale comuni, una cucina, una lavanderia, due bagni e una terrazza sul tetto da cui si gode una discreta vista sul fiume e sulla città. I letti sono comodi, le stanze calde e spaziose e gli ospiti che si fermano vengono da tutto il mondo. Una pacchia. Ha un solo grande difetto: i cessi sono gelati. Tutte le volte che devo andare in bagno mi vengono le paranoie al pensiero di sedermi su quella tazza. Ha una temperatura che rasenta lo zero assoluto. Il motivo di questa temperatura sta nel fatto che l’ambiente è situato al piano terra e qui è sempre tutto aperto. La porta d’ingresso non viene quasi mai chiusa, non so il perchè, e come se non bastasse, nonostante al suo interno sia presente un deodorante per ambienti formato stadio, l’abbaino che sta proprio sopra al water è sempre aperto. Per i primi giorni ho provato ad abituarmici, a tenere duro. La vita del viaggiatore ha anche questi lati oscuri, ma è stato inutile. Non riesco ad essere sereno con tutto quel freddo, non riesco a mettermi nelle condizioni di andare in bagno, così ho optato per un’altra soluzione.

A qualche centinaio di metri da questo ostello c’è una delle vie commerciali di Kyoto. Lungo questa via c’è il Takashiyama, un centro commerciale su sette piani. E’ dedicato quasi esclusivamente alle signore, e qui, al secondo piano, tra la boutique di Chanel e quella di Salvatore Ferragamo, c’è il mio tempio del piacere: la toilette. Ormai sono il Guru indiscusso di questo tempio perchè mi capita di andarci anche tre volte al giorno. Questi servizi igienici sono talmente futuristici da fare invidia a quelli della NASA. Tanto per cominciare sono grandi come camera mia, in più sono strutturati in modo da avere la stessa privacy che avresti in casa tua. Un connubio perfetto. Appena entrati si chiude la porta di legno e si scopre l’attaccapanni. Una volta spogliati (sì, io mi spoglio) ci si siede e si prova la magia. La tazza è riscaldata elettronicamente al punto giusto. Risacaldata! Come i sedili delle auto di lusso. Naturalmente prima di sedersi si spinge un bottone che pulisce e igienizza l’intero water. Una volta fatti i propri bisogni un altro pulsante accende il bidè, di modo che una volta usciti si è freschi come una pioggia estiva. La prima volta ci sono capitato per caso. Ero in giro e mi scappava e visto che in Giappone i bagni sono sempre lindi e puliti, un posto vale l’altro. Mai però avrei immaginato tanto. Quella volta ci sono stato tipo quaranta minuti. Non sopportavo l’idea di staccare il mio sederino da quel calore quasi materno. Adesso ci metto meno, sarà l’abitudine. Le commesse dei negozi ormai mi salutano. Non so che cosa pensino quando mi vedono, visto che entro nel loro centro commerciale almeno due volte al giorno e non compro mai nulla. Però quando esco sempre ringraziano. Prego!

2 L’ONSEN

Kyoto, 29 gen 2011, giorno 18, ore 17:59, Kyoto hostel

Quando ero in Turchia non sono stato dentro a un bagno turco. L’idea di stare nudo in mezzo ai turchi non mi entusiasmava, mi spaventava. L’equivalente giapponese del bagno turco è l’Onsen, una sorgente termale di acqua bollente che l’uomo ha imbrigliato per il suo piacere personale. Si dice che in Giappone ce ne siano più di 3000, più che in Islanda. Un Paese immerso nell’acqua calda. Tornando al mio proposito, la guida mi consigliava il Funaoka Onsen, uno degli onsen più antichi di tutta Kyoto. Trovarlo non è stato semplice, ma grazie all’aiuto di un paio di signore sono riuscito nell’intento. L’esterno non corrispondeva affatto all’idea che mi ero creato nella mia mente. Immaginavo un’idilliaca casetta di legno immersa nel verde, dove qua e là disseminate stavano sorgenti di acqua calda sgorganti dalle nude rocce, premurosamente indicate da spledide fanciulle sorridenti abbigliate con sontuosi kimono. Nulla di tutto questo: una casa vecchiotta schiacciata da palazzoni popolari in un quartiere alla periferia del centro di Kyoto. Nessuna insegna, nessuna indicazione particolare. L’ho riconosciuto solo perchè all’esterno, in un mare di ideogrammi, stavano i pochi numeri arabi che indicavano l’orario di apertura che mi indicava la guida. Un po’ scoraggiato decisi di entrare. Subito dopo la porta di ingresso mi viene chiesto di togliermi le scarpe, una cosa piuttosto comune qui in Giappone. Salito le scale mi ritrovo davanti una signora che avrà avuto mille anni seduta dietro al bancone della reception. Io la guardo e aspetto conforto. Lei mi guarda e non dice nulla. Io allora sorrido, lei non sorride. Io dico un timido “Onsen?” e lei mi indica col suo dito nodoso un cartello che dice 410. Era il prezzo d’entrata. Sempre più spaventato da questa grande impresa, pago e proseguo. Tutto intorno a me solo cartelli giapponesi, e visto che non sapevo cosa fare e dove farlo, decido di aspettare qualcuno che, a sua insaputa, mi avrebbe insegnato l’etichetta. Mentre aspetto qualcuno da copiare, mi domando se sono capitato in un bagno misto o separato. Nel caso di un bagno misto mi chiedo quale sia il comportamento appropriato in caso di erezione. Vergogna? Espulsione? Sorrisi divertiti? Mentre fantasticavo di harem e quant’altro arriva la mia vittima, che seguo e copio in tutto e per tutto. Si entra, si sceglie un armadietto, si estrae la cesta, la si riempie coi vestiti (tutti), la si rimette via, si prende la chiave e si entra. Eccomi qui, ho pensato, nudo come mamma mi ha fatto in mezzo a un sacco di…. Tralasciando per decenza quello che ogni uomo si sta chiedendo, mi guardo intorno. Uno stanzone con tante vasche interamente coperto da piastrelle celesti. Avete presente in Street Fighter la location dove si combatte contro Honda? Ecco, tipo così, solo con tante vasche da una parte e delle docce alte un metro dall’altra. Queste mini docce servono per lavarsi prima di entrare nelle vasche comuni. Ci si siede sotto e ci si lava per bene. Qui i giapponesi si sbizzarriscono: shampii, balsami, saponi profumati, spugne, olii. C’è chi si lava i denti, chi si fa la barba, chi si prepara per la serata. Una vera toletta pubblica. Io tutte queste cose non le sapevo, non avevo saponi con me, quindi fingo di lavarmi sotto alla doccia ed entro nella prima vasca. Una botta di piacere enorme. L’acqua calda al punto giusto, i brividini lungo la schiena e la totale rilassatezza del corpo. Un momento degno di un re. Nelle vasche successive la temperatura dell’acqua aumenta ancora. la seconda è ancora affrontabile, ma la terza è talmente calda che ci si potrebbe cuocere la pasta. Idem per le due saune. La prima si sopportava, ma la seconda dopo appena cinque secondi sono uscito e mi sembrava di avere fatto tutto il viaggio al centro della terra e ritorno. Ma nell’acqua si stava benissimo. C’era anche un idromassaggio dentro all aprima vasca e io mi ci sarò fermato tipo un ora. Nessuno avrebbe potuto muovermi da lì. Poi ho cominciato a vedere gente che entrava dentro a una porticina appannata che non avevo visto. Incuriosito mi alzo, li seguo e mi ritrovo all’aperto. C’erano pochissimi gradi, ma io non li sentivo anche se ero nudo. Alla mia sinistra stava incastonata nella roccia un’altra vasca, dal fondo di legno, con un rigagnolo d’acqua che vi si gettava da un tubo di bambù. Quello era il massimo. Appena mi sono immerso ho guardato verso il piccolo giardino che mi stava davanti e ho visto che nevicava. Leggermente e per pochi minuti, una spolveratina, ma che ha reso quel momento decisamente magico. Molto meno magico è stato quando ritornato nello spogliatoio nudo come un verme ho scoperto che gli asciugamani non erano offerti dalla casa. io non avevo nulla con me quindi mi sono dovuto asciugare con la maglietta accanto a un vecchio che mi guardava e scuoteva la testa. Finale a parte, una delle esperienze più belle di tutta la mia vita.

Adesso risponderò a qualche domanda. No, non ci sono busoni che ci provano con te. No, non mi sarebbe piaciuto che ci fossero. Sì, se sei l’unico europeo è probabile che il tuo pisello sia il più grande di tutto l’Onsen. Contenti?

3 QUEL TRENO PER NARA

Nara, 29 gen 2011, giorno 18, ore 13:21, tempio Todai-Ji

Da quando sono arrivato a Kyoto, tutti i viaggiatori che ho incontrato non hanno fatto altro che parlarmi di Nara. Nara di qua, Nara di là, vacci assolutamente, è bellissimo e così via. Oggi ci sono andato. Tutti mi dicevano anche che è facile da raggiungere, col treno ci si metteva pochissimo. Fiducioso e con belle aspettative nella sacca mi sono avviato verso questa città, già capitale stabile del Giappone prima di Tokyo e Kyoto. Arrivato al gabbiotto delle informazioni chiedo come raggiungere Nara. Facile, linea Kensei fino a Tofukuji, cambio, linea JR fino a Nara. A prova di stupido. Ero carico, mi ricordavo anche a memoria il nome della fermata, Tofukuji. Binario 2, arriva il treno e io salgo. Secondo le mie fonti, avrei dovuto metterci sei minuti per arrivare a Tofukuji. Dopo mezz’ora non ero ancora arrivato. Ho fermato il controllore e gli ho chiesto spiegazioni. Un controllore loquace, simpatico, ma dopo cinque minuti di discorso non avevo capito niente. Così l’ho fermato gli ho chiesto se l’avevo già passata. Lui mi ha detto di sì. Così scendo, torno a chiedere informazioni e mi viene indicato un altro treno. Dopo mezz’ora ero di nuovo al punto di partenza. Ci sono voluti altri due tentativi e un’altra ora ma dopo essere ritornato di nuovo al punto di partenza ho capito che il treno Express non ferma dappertutto, mentre il treno Local sì. Prendo il Local e dopo quaranta minuti sono a Nara. Appena sceso mi sento ancora di più in Giappone. Case antiche, poche vie commerciali, nemmeno un Mac Donald’s. Un bel posto davvero. Dopo qualche passo vedo un cervo impagliato in mezzo al marciapiede. Che brutto, ho pensato, proprio inappropriato. Poi quel cervo impagliato ha mosso prima le orecchie, poi ha cominciato a camminare. Non era impagliato. Era vivo! Ci sono rimasto male, devo ammetterlo. Il fatto è che a Nara i cervi sono dappertutto. Ce ne sono a decine e girano per la città come un qualsiasi turista. Non sono spaventati dall’uomo, anzi. Dei due sono gli uomini quelli spaventati perchè appena si compra qualcosa da mangiare in uno dei vari carretti sparsi per la città, ecco che quelli subito si avvicinano per farsi offrire un boccone. E non ti mollano finchè non gliene dai un po’. Qui ho visto il mio primo Buddha gigante. E’ situato in un tempio enorme, forse il più grande che abbia mai visto. In passato questo tempio aveva ai suoi fianchi due pagode gemelle alte più di cento metri, ma adesso non ci sono più. Appena si entra nel tempio si viene accolti da questo Buddha, che con i suoi otto metri di altezza ti guarda dall’alto e ti dona amore. Ci sono stato per un po’ a guardarlo. Mi sono chiesto quante facce abbia visto e quante ancora ne vedrà questo Buddha. Mi sono anche fatto fare una foto accanto a lui. E’ l’unica foto che ho di me, finora. Mi ha colpito davvero un sacco. Tornando sui miei passi ho anche ritrovato la voglia di scrivere. Forse, oltre che all’amore, questo Buddha mi ha regalato anche qualcos’altro.


Lo Zen e l’arte di viaggiare

Kyoto, 25 gen 2011, giorno 14, ore 20:57, Kyoto Hostel

Oggi sono stato ad Arashiyama. E’ una specie di sobborgo di Kyoto, me ne ha parlato un ragazzo australiano che ho conosciuto in ostello. E’ un posto magico. Situato lungo una collina sulle sponde di un fiume, domina dall’alto tutta Kyoto. Ci sono templi ovunque, molti dei quali rientrano nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Ho vagabondato per questi luoghi tutto il giorno, attraversando prima una sponda del fiume poi l’altra, un Siddartha contemporaneo che vaga per le forsete di bambù alla ricerca del tempio. Ne ho trovati parecchi, di templi,  ed ognuno di essi ha suscitato in me un senso di spiritualità genuino, un pizzico di Zen. Lo Zen è un percorso, è un modo di ambire alla perfezione dell’essere. Non c’è un punto di inizio, non c’è una fine. Bisogna solo camminare. Tutto questo camminare, di oggi, del mio spirito, del mio viaggio, è tutto una grande metafora: il cammino come via di miglioramento. Il mio viaggio stesso ne è un esempio pratico. Io viaggio, non ho una meta, so solo che devo continuare a muovermi, a camminare. Non so dove sarò domani, so solo dove sono stato ieri. E so che cosa mi ha lasciato. Due modi diversi di praticare lo stesso pensiero. Più sto qua e più sento nascere in me il desiderio di conoscere maggiormente la loro religione, la loro filosofia, il loro pensiero. Cammiando per le vie dei templi sento i loro canti, mi chiedo cosa stiano a significare, mi lascio incantare da queste cantilene. Totalmente assorbito, non esiste nient’altro. Vorrei capirle, ma non saprei da dove cominciare. Anche così, però, mi comunicano qualcosa, ed è un senso di pace e di serenità che è costante, una filosofia che dice che ogni cosa è tutto e tutto è ogni cosa. Il mio viaggio, i miei cammini fanno parte di questa filosofia, anche se le due cose non si conoscono e non si capiscono. Si impara molto anche senza capire.


Sono già stato qui

Kyoto, 25 gen 2011, giorno 14, ore 20:32, Kyoto Hostel

Questo è il vero Giappone. Il vero Giappone, che avevo solo intuito passeggiando lungo le strade di Tokyo e di Osaka, oggi l’ho sentito davvero sulla mia pelle. Lontano dalle metropoli ho trovato quello che stavo cercando. E’ stata una sensazione bellissima, come essere finalmente arrivato ad una meta da tanto sognata. Profumava un po’ di casa, ma anche di nuovo, di esotico, con un retrogusto di antico. Quel po’ di casa che ho sentito l’ho sentito perchè in questo luogo ho rivisto tutte le immagini che mi sono portato con me, tramandatemi dalle avventure dei personaggi dei cartoni animati della mia infanzia. Dai finestrini dei treni ho visto i quartieri popolari e i campi da calcio sparsi qua e là di Holly e Benji, le palestre di Mila e Shiro e le rive dei fiumi dove i miei beniamini solevano recarsi a pensare nei loro momenti riflessivi. Lungo le strade ho incontrato gli anziani, con la loro aria bonaria, i vestiti, gli zaini, i pantaloni, le loro espressioni e i loro modi di fare, tutti esattamende come ricordo che dovrebbero essere da quei cartoni. I locali dove si mangia come quelli del padre di Licia e i cortili delle scuole come quelli di Gigi la trottola. Le case sono quelle di Doremon, i parchi quelli di E’ quasi magia Johnny, le auto della polizia sono quelle di Occhi di gatto. I templi ed i santuari, poi, sembrano essere appena usciti da Naruto. Il cibo è quello che mangia sempre Goku, nei torrenti mi sembra quasi di vedere Sampei e tra le foreste di bambù scorgo Ranma 1/2. Tra i grattacieli attendo col naso all’insù l’arrivo di Sailor Moon, o l’apparire di Vultus 5. Lo sfondo di tutti questi cartoni lo vedo sotto i miei occhi per davvero. Sono già stato qui? Mi sembra di sì. Mi sento come quando ero bambino, solo che stavolta dentro al cartone ci sono davvero e non solo con la mia fantasia.


Vagabondando per il sud est asiatico

Tokyo, 21 gen 2011, giorno 10, 22:21

Forse ho trovato una soluzione che stimola parecchio i miei sensi di viaggiatore.

Per cercare di risolvere i miei guai internazionali mi sono rivolto ad un consulente privato: una mia amica che vive a Shanghai. La signorina in questione, senza la quale probabilmente ora sarei disperato, mi ha detto che per aggirare la questione dei biglietti e dei visti la cosa migliore da fare è prendere un volo per Hong Kong. Questa metropoli, fino a non molto tempo fa possedimento britannico, oggi è una specie di porto franco da quanto ho capito, quindi non richiede un visto di entrata. Una volta arrivati lì si può chiedere però un visto turistico per la Cina della durata di tre mesi, multientrata, al prezzo di 50 euro. Bisogna solo pagarlo! Alla luce di questa notizia mi sono subito messo alla ricerca di un volo per Hong Kong. Il prezzo più basso che sono riuscito a strappare dalle varie compagnie asiatiche “low cost” è stato di circa 350/400 euro. Ancora un po’ troppo alto per me, considerando che con 500 sono arrivato fin qui dall’Ungheria. Così ho cercato dei percorsi alternativi. Uno di questi, il migliore, quello che proprio mi manda in disibilio, mi porta per la modica cifra di 27.000 Yen (circa 260 euro) da Tokyo a Kuala Lumpur, in Malesia. Informandomi su http://www.viaggiaresicuri.it ho scoperto che questo Paese non richiede visti turistici per permanenze inferiori ai 90 giorni. Stessa procedura vale per Singapore, e da questa città posso prendere un volo per Hong Kong a 130 euro con la TigerAirwais, la Ryanair del sud est asiatico. Quindi, in definitiva, la cifra da spendere per tornare sul continente è la più o meno la stessa, solo che col diretto vedrei molto meno mondo. Senza contare che una volta arrivati a Singapore, nel caso voglia darmi alla pazza gioia, la Tiger offre tariffe simili a quella sopra citata per varie destinazioni dell’area asiatica, tra cui Bali, Bangkok e Australia. Non ho ancora prenotato, ma credo proprio che opterò per questa scelta. Domani andrò di nuovo al Manga Kissa per chiedere se è possibile stampare la prenotazione, farò due conti sui tempi e se tutto andrà bene prenoterò. Che cos’è un Manga Kissa? E’ una specie di internet point, solo che in pratica è come camera tua. Compreso nel prezzo base c’è l’utilizzo del pc e internet in una stanza comune e le bevande sono offerte dalla casa. Se paghi un po’ di più puoi avere un cubicolo privato dove puoi fare tutto: tutto! Siccome la metropolitana di Tokyo chiude intorno a mezzanotte, se ti trovi dall’altra parte della città, hai perso il treno e vuoi tornare a casa, la corsa in taxy ti costa di più che passare la notte in uno di questi posti. Questo servizio infatti è molto utilizzato anche per dormire. Paghi, hai il tuo spazio privato, puoi mangiare, bere, giocare ai videogiochi, adare su internet ed espletare i tuoi bisogni corporali. Puoi fare tutto. Io ormai ci sono andato talmente tante volte che appena entro vanno a chiamare un commesso nel negozio di fianco perchè è l’unico che parla inglese. Chissà se anche a Singapore saranno così disponibili.


Visti, voli e tanto cash

Tokyo, 21 gen 2011, giorno 10, 14:39, Aprecio Manga Kissa

Scrivo da tastiera giapponese, quindi gli accenti e gli apostrofi sono storia.

Il Giappone e un isola. Se ti vuoi spostare da qui non ci sono autobus. Oggi sono stato all ambasciata cinese. Entro e mi metto in fondo a una coda di cui non vedevo la fine. Arrivato al banco la tipa mi dice “Here no visa. Visa 3 floor”. Avevo previsto un po di difficolta, quindi con grande calma prendo l ascensore per il terzo piano e faccio un altra fila. Tutto intorno a me e pieno di fogli informativi e carteli scritti in cinese e nessuno parla inglese. Allo sportello un altra tizia mi chiede se ho compilato la domanda di accettazione. Esco, trovo a fatica il foglio da compilare, lo compilo e mi rimetto in fila. Ritornato da lei mi chiede: “Have you got photo?” e mi indica la parte del foglio dove in cinese c era scritto che ci volevano sei foto tessere. La macchina delle fototessere era al primo piano. Quella grande calma di cui parlavo prima se ne era gia andata a meta della seconda fila. Scendo, mi metto in fila, faccio le foto, risalgo, mi rimetto in fila e finalmente ritorno allo sportello. “Have you got passport copy?” e mi riindica la dicitura del foglio. In cinese. Di nuovo esco, mi metto in fila, faccio le fotocopie, ritorno in fila e torno dalla mia cara amica cinese. Ormai quando mi vede ride. Ci siamo, ho pensato, e fatta, ho tutto, stavolta e andata. “Have you got plane ticket?”. Le spiego la mia situazione, che sono un backpacker, che mi muovo tra i Paesi, che prenoto passo dopo passo, vivo alla giornata, che al momento non ho il biglietto aereo e che forse andro in Cina in nave. “Have you got boat ticket?”. Le rispiego tutto. Alla fine lei tira fuori un quadernino, lo sfoglia con calma, sorride, e mi fa vedere una pagina da lei scritta e mi indica una riga. Qui c era scritto: se non si ha un biglietto aereo non si puo concedere il visto. Poi mi indica la stessa scritta in cinese sul foglio di domanda. Mi sono sentito come in quel cartone dove Asterix e Obelix, dovendo affrontare dodici fatiche prima di arrivare a Roma, arrivano nella casa che rende pazzi. Quindi niente visto.

Adesso sono in un internet cafe (un Manga Kissa, poi spieghero cos e) e sto cercando voli economici. Il piu economico che ho trovato, Tokyo – Hong Kong, mi chiede 450 euro. Per quello che mi riguarda potrebbero chiedermi un rene, e uguale. E meno male che prima di partire avevo pensato di non usare l aereo. Quindi chiedo a tutti i lettori se conoscono un modo economico per lasciare il Giappone verso una qualunque meta compresa tra Kuala Lumpur e Ulan Batar (dalla Malesya alla Mongolia). Cerchero anche una nave tipo da Nagasaki alla Korea o anche alla Cina e speriamo di trovare qualcosa. Comunque, se avete informazioni, scrivete un commento o una mail o un post su Facebook. Grazie per la gentile collaborazione.


Noodles e spazio

Tokyo, 19 gen 2011, giorno 8, ore 22:59

Viaggiando in metropolitana a Tokyo ci rende subito conto che il bene più importante è lo spazio. Tutti cercano di stare a sedere occupando il minor spazio possibile. Si rannicchiano a tal punto che certe volte conviene stare in piedi, e infatti molti lo fanno. All’interno del vagone, inoltre, ci sono spazi differenti contrassegnati da colori differenti: i sedili blu (da notare che i sedili della metro sono tipo divani e sono tenuti come quello di casa mia) sono per tutti, mentre quelli rossi sono per le categorie speciali (anziani, donne incinta, diversamente abili) e la norma impone che stiano sempre liberi. Da bravo italiano ignorante che sono, oggi salgo sul treno e mi siedo, tiro fuori la guida e inizio a farmi i fatti miei. La metro è la più estesa che abbia mai visto e quindi si ha tutto il tempo di verificare le indicazioni prima di raggiungere il posto prescelto. Dopo un po’ inizio a notare che tutti mi guardano, e quei tutti erano prevalentemente anziani. Insospettito comincio a guardarmi intorno e allora scorgo un cartello con scritto “Posti riservati a categorie protette”, o qualcosa del genere. Imbarazzato come un ladro in chiesa (questa forma di ostracismo credo che sia la causa principale per cui qui tutti rigano dritto) mi alzo e per sostenermi utilizzo i ganci attaccati al soffitto. Mano a mano che la metro si riempie mi sento ancora osservato. Mi guardo intorno e vedo che tutti appoggiano lo zaino a terra, mentre il mio è ancora sulle mie spalle. Sempre quella faccenda dello spazio. Di nuovo, mi guardo intorno con aria di scusa, sguardo basso e orecchie piegate, e appoggio lo zaino. La gente attorno a me ora è davvero tanta, ma io non sono abituato alla metro, quindi per mantenere l’equilibrio utilizzo due ganci del soffitto, con due mani. Anche questo credo che non si debba fare, perchè appena ne mollo uno per grattarmi il naso, ecco che una mano piuttosto stizzita lo afferra e mi rimprovera con un’espressione di disprezzo. Questa è la vita del vagablogger in Giappone. Non parliamo poi delle cicche di sigaretta: non ne ho ancora vista una per terra. Tutti i fumatori hanno un posacenere portatile dove ripongono le cicche spente. Io, che non ho un posacenere portatile e che non voglio mettermele in tasca come mi hanno suggerito, mi aggiro furtivamente come uno spacciatore e appena vedo che nessuno mi guarda le nascondo nelle aiuole o in qualche altro posto. sì, sono una brutta persona, ma di posacenere e cestini per starda ne ho visti pochissimi. E dire che ho sempre creduto di essere uno di quelli “diversi”, rispettosi ed educati.

Un punto di cui invece sono stato piacevolmente sorpreso è il cibo. Prima di arrivare credevo mi aspettassero altre settimane ininterrotte di Mac Donald’s (da quando sono partito ho mangiato sempre lì, sorry) e invece la cucina di qui è straordinaria, talmente straordinaria che tutte le verdure che contiene vanno giù che è un piacere. Quando stasera ho ordinato una specie di zuppa di spaghetti, si è rivelata talmente buona che ho bevuto anche tutto il brodo. Assieme alla zuppa c’era una cotoletta di pesce servita con riso e verza. Anche quello BAM, giù nel canestro. E per soli 3 euro! Decisamente il cibo è più economico degli alloggi, ma chissà che andando avanti non riesca persino a migliorarmi in quello?


Abitare o vivere?

Tokyo, 19 gen 2011, giorno 8, ore 22:28

Curioso come le cose cambino da una città a un’ altra, dalla mattina alla sera. Devo ammetterlo, quest’oggi, appena arrivato, mi sentivo come un pensionato al Coccoricò: fuori da tutto ciò che conoscevo. Immaginate di non poter leggere i cartelli, le indicazioni, le insegne, di non avere le vie scritte sui muri, di non capire nessuno, di stare con uno zaino sulle spalle in mezzo a un labirinto di otto milioni di abitanti. Immaginate tutto questo e capirete come mi sono sentito. Ci ho messo due ore e mezza trovare l’ostello. Pochi parlano inglese e sapere che l’indirizzo dell’ostello è 3-12-5 Ryusen Taito Ku ti aiuta ben poco. Adesso però che mi sono sistemato un po’ e  ho fatto un giro per la città ho capito alcune cose. Innanzitutto Tokyo è una città che colpisce. I suoi grattacieli, le mille scritte luminose, le sue eccentricità, i suoi treni, le sale giochi grandi come il grande Emilia, le macchine fotografiche e i cellulari ad ogni dove. E’ enorme, tipo 32 municipalità messe assieme da linee ferroviarie, autostrade, sobborghi e tanto lavoro umano. E’ sicuramente diversa da ogni cosa ci si possa immaginare da lontano. E mi piace, anche se per ora ne ho solo accarezzato la superficie e per farlo ho già speso qualcosa come tipo 170 euro in un giorno. Ma non è questo che mi ha davvero colpito. Questa è la facciata. Se si fa tanto di svoltare l’angolo allora ci si trova in un mondo che ti mette subito a tuo agio. E’ rilassante nella sua caoticità, perchè quel caos è fuori, non nelle persone. Quello che mi ha davvero lasciato sbalordito è che qui una ragazza in metropolitana si alza dal suo posto a sedere, viene da me e mi chiede se ho bisogno di aiuto per trovare quello che cerco. Se sei per strada e ti fermi in un angolo a consultare una cartina, ecco che subito arriva qualcuno che ti chiede cosa può fare per te. E dopo non ti chiede nè soldi nè di ospitare un suo parente a casa tua in Italia mentre cerca lavoro (mi è successo).  Quando mangi dei noodles in un chiosco lungo la strada il proprietario è genuinamente felice se sei stato bene, e se ritorni anche la sera allora ti fa sentire come il re del mondo. Qui quando vado in bagno lo zaino lo lascio al tavolo e sono sicuro che quando torno è ancora lì. Oggi all’internet point ho lasciato tutti i miei averi sul tavolo ed era come se fossero al sicuro in camera mia a Castelfranco. Qui tutti hanno rispetto per il prossimo, quindi di riflesso anche per loro stessi. Loro vivono, vivono davvero in questa città. Io ABITO a Modena, loro VIVONO a Tokyo. Questo è quello che mi ha davvero colpito di Tokyo. Questo e quei famosi 170 euro.


Niente figli

Da qualche parte nello spazio-tempo su un aereo diretto a Tokyo ma più vicino

Se vi dovesse mai capitare di fare un volo più lungo di sei ore assicuratevi di non avere neonati vicino al vostro posto, men che meno due. Quando uno smetteva, l’altro iniziava a piangere e quando uno dormiva l’altro lo svegliava e alla fine, per essere sicuri, piangevano tutti e due. Però, devo dire, grazie a quelle due creaturine ho visto una cosa che non avevo mai visto: l’alba a 11.000 metri. Mi sono svegliato, ho tirato su la tendina del finestrino e ho visto il sole levarsi fresco fresco davanti ai miei occhi. Emergere da un oceano immobile di nubi  nere con in sottofondo la scenografia di un cielo cangiante dal rosa salmone al nero profondo dello spazio, passando attraverso il verde e tutte le tonalità di turchino e di blu. Poi all’improvviso uno squarcio di luce e il disco del sole che emerge da un ribollire di rossi infuocati, mentre il cielo è una danza di azzurri e celesti. Uno spettacolo unico. E al di là dell’ala e del vetro niente, nero, sonno e silenzio. Forse è per questo che lo chiamano il paese del sol levante.


La fame è brutta

Da qualche parte nello spazio-tempo su un aereo diretto a Tokyo

Per quelli di voi che non mi conoscessero devo fare una piccola premessa. Io non mangio frutta, non mangio verdura, non mangio cose verdi o colorate di rosso o di giallo. Niente pesce, formaggi, dolci, marmellate o simili. L’unico succo di frutta che bevo è quello all’arancia ma deve essere senza pezzettini. Niente polpa, solo succo. Mangio pasta, carne, pizza, pane e insaccati. Facile, no? Procediamo.

Da bravo viaggiatore disorganizzato che sono arrivo all’aeroporto di Helsinki con soli 5 euro in tasca e una fame da bimbo grande. Quando si presenta l’ora di mangiare ricordo che le mie carte di credito sono nascoste nei vari pertugi da me creati nelle pieghe più nascoste del mio zaino, zaino ben al sicuro e incelofanato all’interno della stiva di un aereo. Ok, mi dico, ho comunque 5 euro. Vediamo cosa mi possono offrire i miei amici finlandesi per 5 euro. L’offerta era abbastanza povera: patatine e Coca Cola. Guardavo i miei unici 5 euro e guardavo le patatine, la fine della mia sofferenza. Pensavo al fatto che mentre in Finlandia con quella somma potevo avere al massimo un pasto da barbone di Central Park, in un posto come la Thailandia con la stessa cifra mi avrebbero data un tavolo, primo, secondo, contorno, bevande e anche del resto. Questo pensiero ha dato il via ad un grande combattimento interiore: nell’angolo destro avevamo la fame, mentre in quello opposto il mio istinto di conservazione monetaria. Dopo dieci round ha vinto per k.o. tecnico la parsimonia. Mangerò sull’aereo, ho pensato. Quindi via: chiamata del volo, fila all’imbarco, controllo passaporto, sorrisi smaglianti nippo-finnici di benvenuto, ricerca del posto numerato, ulteriori sorrisi, una piccola attesa e decollo. Durante tutto questo tempo la mia fame macinava chilometri, fino a diventare ruggente, implacabile, enorme. Finalmente spunta da in fondo al corridoio la hostess col suo bel carrellino dei pasti. “Chicken o Pasta?”. Ero tentato dalla pasta, ma poi ho pensato che quando ti dicono “Chicken” alla fine non sai mai bene cosa ci può essere dentro, e visto che l’ignoranza è beata la mia risposta è stata “Chicken!”. I pasti degli aerei sono tutti ben chiusi ermeticamente con imballaggi che impediscono qualunque contatto visivo o olfattivo. Forse perchè così puoi goderti proprio fino all’ultimo momento la tua speranza che quell’involucro contenga qualcosa di effettivamente buono. Il “Chicken” è risultao essere una specie di pollo alle mandorle senza mandorle e con un pollo molto strano, mischiato con riso e roba rossa, gialla e verde. Un piccolo involucro recava la scritta “Noodles”: effettivamente al suo interno c’erano due sbacchettate di spaghetti di foggia asiatica, ma erano freddi, appiccicosi e sporattutto verdi. Un misto di verdurine fredde accompagnava il tutto assieme ad un quadratino di formaggio, un tortino alla marmellata e una busta d’acqua (sì, una busta). Quattro francobolli di cracker, una pagnottina di pane e una bottiglietta mini di plastica tipo tester di colluttorio con dentro una presunta salsa di soia. Bè, ho mangiato tutto e se ce ne fosse stato ancora ne avrei fatto anche il bis!


Una WiFi per i miei pensieri.

Budapest, 18 gen 2010, giorno 7, ore 11:58

Un’altra WiFi, un altro pensiero snocciolato frettolosamente. C’è un po’ di sincera preoccupazione nell’aria, come un sentore di paura. Non paura del tipo devi entrare in una gabbia di leoni, paura del tipo stai per sbatterti Gianna Michels: tu vuoi farlo, oh Dio sì, però sei anche un po’ teso. Insomma, lei è una professionista, sa esttamente tutto, è molto più esperta e “grande” di te. Vorresti uscirne a testa alta. Per me adesso è un po’ così. Da quanto ho potuto leggere, Tokyo è quella che mio nonno definirebbe “una bella bestia”. Non vorrei essere mangiato, tutto qui. E’ una città che per me è come se non lo fosse. Troppo diversa da tutte le città che ho visto, troppo più grande, più varia, più veloce, più costosa. Un’ altra dimensione urbana.  Le cose da vedere sono talmente tante che non so da dove cominciare, ma allo stesso tempo non me ne vorrei perdere nemmeno una.  Scrivo questo perchè poi sarà curioso confrontare l’immaginazione di adesso con la realtà del domani. Magari non sarà vero nulla, magari è solo suggestione. Probabilmente sarà un mix delle due.

Chiamano il mio volo. Ci vediamo a Helsinki.