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Capodanno

Sigatoka, Fiji Islands, 9 set 2012, ore 14:09, Tambua Sand Resort

Oggi è il mio compleanno. Sono nato ventotto anni fa a circa trentamila chilometri da dove sono ora. Fra qui e il mio luogo natio ci sono tre continenti, dieci ore di fuso orario, miliardi di abitanti e centinaia di lingue. Oggi è il mio compleanno e sono un viaggiatore.

Buon capodanno. Per la maggior parte delle persone capodanno è il primo gennaio. Per me è oggi. Settembre è l’inizio di tutto, non gennaio. Si torna dalle vacanze, ricomincia la scuola, ricomincia il campionato di calcio, inizia l’autunno e si invecchia. Questo almeno per me. Tutti gli anni in questo periodo faccio il mio bilancio annuale. Cosa ho fatto, cosa vorrò fare e cosa non ho fatto rispetto a quello che mi ero prefissato l’anno precedente. Credo che la mia conquista più grande dell’anno che è passato sia stata il lasciarmi andare, il perdermi completamente in posti lontani. Certa gente passa tutta la vita a cercare di assicurarsi la stabilità: un lavoro, una casa, un’auto, la tessera della palestra e tutto ciò che ne consegue: i debiti, gli impegni, il non poter fare, il non avere tempo. Se questa è la loro felicità, allora così sia, hanno vinto, sono felici. Per quello che mi riguarda io ho scelto un’altra strada. Non è solo una questione di spostamenti, non è solo il nomadismo. E’ proprio il non sapere cosa succederà domani. Credo che sia questo il mio fine ultimo. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho fatto una cosa che non avevo mai provato? Poche ore. Quanto tempo passerà prima di rifarne un’altra? Forse pochi giorni. Credo che sia questa la mia più grande conquista: mai un giorno uguale all’altro, un misto tra Alexander Supertramp e Tyler Durden. Non essere mai completo, evolversi continuamente, non stabilizzarsi per morire lentamente ma allungare la mano e prendere ciò che si vuole. Sì direi che sia una buona sintesi di ciò che sta succedendo intorno a me. Se non fossi stato avventato in certe scelte, se avessi avuto paura dell’ignoto adesso con tutta probabilità starei lavorando a un paio di chilometri da casa, sarei preoccupato per la crisi e non sarei felice. Invece sono su un’isola del sud pacifico, non penso più di tanto ai soldi e mi concentro solo sul prossimo spostamento. Certo, ogni tanto bisogna anche lavorare, e la prima parte di questo viaggio è stata dedicata soprattutto al lavoro. Però non è forse vero che i primi giorni di lavoro sono sempre i più felici? Non sono quelli che passano più in fretta? Non so, ma credo che per un altro po’ continuerò così. C’è tempo per sistemarsi. Un mio amico una volta ha detto che non è un male invecchiare, poiché l’importante è come si invecchia. Non c’è giorno che passi senza che io mi dica da grande farò questo oppure farò quello. Ma quand’è che si diventa grandi? Quando avevo diciott’anni pensavo che la soglia della vecchiaia fossero i trenta. A trent’anni sei vecchio, quindi devi avere famiglia, casa e tutto il resto. Oggi penso che non riuscirò a fare tutto quello che vorrei fare prima dei trent’anni, quindi forse sposterò la soglia della vecchiaia a trentacinque o anche a quarant’anni. L’età è solo un numero. La mia lista delle cose da fare è ancora lunghissima e penso che in ultimo, la vecchiaia arrivi davvero quando quella lista è terminata oppure non si ha più voglia di scriverci sopra. E io ho ancora voglia. Buon capodanno.

 


Cast Away

Sigatoka, Fiji Islands, 8 set 2012, ore 12:23, Tambus Sanda Resort

Il resort dove vivo adesso è diverso, per questo lo amo. Il volo che mi ha portato qui era pieno di coppie coi figli e vecchi signori, la crème de la crème della nazionale turistica australiana. Speravo tanto di non passare la prossima settimana tra gare di limbo e abbuffate di pina colada e son stato esaudito. Ci saranno trenta persone nelle capanne accanto alla mia e si e no io ne ho viste otto. La mia capanna è a cinque metri dalla spiaggia. Nove volte su dieci se mi guardo intorno non vedo nessuno per miglia. Semplicemente, il pratino sfuma lentamente in spiaggia e poi solo il mare. La notte è incredibile. Anche se siamo a grande distanza dalla barriera corallina che protegge l’isola si possono sentire le onde che si infrangono sui coralli. E’ un boato continuo che giunge col vento e che concilia il sonno. Il vetno stesso, che smuove le palme, è come una ninna nanna cantata dalla più dolce voce della più amorevole mamma. Ho dormito quindici ore.

Alla mattina mi sono svegliato e ho camminato lungo la spiaggia. Non è un caso che queste isole siano state scelte come location per il film Cast Away. Non ho incontarto aniam viva. La spiaggia è un susseguirsi di tesori: stelle marine, conchiglie bellissime e pezzi di corallo morto. I pesci arrivano fin quasi sulla spiaggia e di tanto in tanto un uccello vola raso, senza sbattere le ali, portato dal vento che non smette mai di soffiare. Pura aerodinamica.

Ad un certo punto incontro un vecchio. Si sbraccia da lontano per attirare la mia attenzione. Bula, mi dice, e mi invita a sedere all’ombra di una palma. Facciamo un po’ di conversazione. Qui l’inglese è la lingua ufficile, quindi non ci sono barriere linguistiche. L’Italia per lui è solo un nome lontano, un posto che non ha mai visto e che mai vedrà. Mi domando come vada lui questo posto. Vorrei fare cambio d’occhi per sapere come lui considera questo paradiso terrestre. Sono sicuro che ne rimarrei stupito. Ad un certo punto spuntano dalla vegetazione due bambini. Mi urlano bula senza fermarsi e si buttano in mare a fare il bagno. Qui l’acqua è cristallina. Puoi vedere il fondo misto sabbia e rocce quasi fino alla barriera. Incontro anche dei pescatori. Stanno fermi immobili in mezzo all’acqua con delle lunghe lance di bambù in mano. Appena vedono un guizzo o un’ombra che si muove sul fondo lanciano i loro bastoni e poi vanno a vedere se hanno catturato qualcosa. Vivere in una cartolina o in un documentario. Pescano come pescavano i loro antenati centinaia di anni fa. Tutti sono sono socievoli, tutti sorridono e ti fanno un paio di domande. Dev’essere così serena la loro vita. Tutto, del resto, qui ispira serenità e pace. Non so se riuscirei a viverci per sempre. Non credo che riuscirei a sopportrlo per sempre. Quello che adesso è serenità potrebbe facilmente trasformarsi in noia da un giorno all’altro, ma se sei nato qui e questo è tutto quello che hai sempre avuto sotto agli occhi, allora è tutto un altro affare. Dubito che qui la gente si suicidi perchè depressa o che si vendano tanti psicofarmaci.

Tutte le sere il sole va a dormire tra palme e cieli infuocati. Sembra che si sieda sulla barriera, dia un’ultima occhiata e poi si decida a scendere. Forse questi sono addirittura migliori di quelli australiani.


Bula!

Sigatoka, Fiji Islands, 7 set 2012, ore 19:23, Tambus Sanda Resort

Arrivare alle Fiji non è come me lo immaginavo. L’aereo ha sorvolato tre ore e mezzo di mare blu. Non so perché, ma mi immaginavo che avremmo sorvolato la Nuova Caledonia e un altro migliaio di isolette da sogno circondate da un mare turchino. Invece nulla, solo l’oceano, enorme e sconfinato oceano Pacifico. Anche l’atterraggio è stato diverso. Ad un certo punto il mare finisce, si sorvola un pezzetto di terra montagnosa, ondulata, tutta palme e canne da zucchero e si arriva. Nadi. Non l’ho vista. Non perché stessi dormendo o perché non ci sia passato: semplicemente non c’è o se c’è è davvero piccola e totalmente diversa da come ci si aspetta. Uno pensa alle Fiji come ad una lunga serie di spiagge da sogno inframmezzate da resort e da piscine, ma non è così. Appena scesi dall’aereo ed entrati nel terminal c’è un gruppo di fijiani in camicia a fiori che canta una canzone. Bula bula bula, significa benvenuti o ciao. E’ una cosa molto turistica, ma devo dire che nonostante le apparenze, questa melodia emana un calore che è piacevole al tatto.

Per raggiungere il nostro villaggio occorreva fare una scelta: taxi o bus. Il bus però è per tutti, hanno detto al servizio informazioni dell’aeroporto. Come a dire, attenti che se scegliete il bus, sì costa un sesto, ma ci sono le persone sopra. Forse a qualcuno cambia parecchio, ma io ho optato per il bus. Questa corriera blu ha cinque posti per fila e un corridoio strettissimo che ci passa in mezzo. Le donne fijiane passano a malapena coi loro culoni enormi, ma fa parte del paesaggio anche questo. Il bus odora tutto di crema al cocco o all’ananas ed è un controsenso che tante persone stipate su un autobus profumino in questa maniera. L’autobus fornisce anche per tutto il viaggio una raccolta di canzoni fijiane. Non ho mai sentito una musica più azzeccata. La strada da fare è parecchia e la prima fermata è presso una polverosa e affollata stazione di Nadi. Qui c’è quello che non ti aspetti. Non posso dire che sia un paese del terzo mondo, perchè sicuramente non lo è, solo che non mi aspettavo di trovare l’Africa al posto dei resort. La stazione non è asfaltata e tra i turbinii di polvere ci sono tanti ragazzini di colore, samoani nei tratti, che nelle loro belle divise bianche con i baveri rivoltati aspettano il bus. Un vecchio chiosco della coca cola è preso d’assalto da assetati avventori e tutto intorno, all’ombra degli alberi, vecchi e nullafacenti prendono il fresco su sgangherate sedie arrugginite e guardano che succede sotto al sole e in mezzo alla polvere. Mi ricorda tanto l’Africa, quegli spot sul volontariato o roba simile. Tutto è vero, tutto è autentico e tutto profuma di pacifico del sud.

La ragazza a cui mi siedo di fianco è una bellezza locale, profuma di papaia e ha un sorriso che ammalia. La luce che filtra dal finestrino le mette in ombra il volto. E’ una fotografia magnifica che scatto solo con la mia mente. I finestrini si possono aprire. Non mi ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho visto un finestrino su un autobus che si poteva aprire. Forse ero in Cina, forse in Tunisia. Comunque tutto il paesaggio era certamente diverso. Lungo la strada si susseguono una dopo l’altra collinette e valli di un verde incredibile. Qualche baracca e molti campi coltivati a canna da zucchero. Baracche. Curiosa la lingua. Se sono fatte di paglia e foglie di palma le chiamiamo capanne e sanno di esotico. Se sono fatte di lamiera le chiamaiamo baracche e odorano di povertà. Non so dove stia la verità, so che quelle che vedo sono baracche, che la gente che ci abita sorride e saluta al passaggio della corriere e che i loro colori vanno dall’azzurro al fucsia intenso. Bula, benvenuti alle Fiji.