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La Cina

Kaiping, Guangdong, Cina meridionale, 18 feb 2011, giorno 38, ore 13:27, hotel

L’impatto con la Cina è stato durissimo. Tutto quello che mi immaginavo è stato spazzato via con un colpo di realtà. Se in Giappone ero un analfabeta, qui sono un marziano. L’hotel che cercavo si trovava a 500 metri dalla stazione, eppure io ci ho messo un ora e mezza per arrivarci. Per farlo sono dovuto passare attraverso decine di guidatori di moto e di risho che, sapendo dove si trovasse l’albergo, mi invitavano a servirmi di loro senza però darmi nessuna informazione. Il tutto completamente in cinese. Non c’era l’ufficio turistico, così mi sono fatto scrivere il nome dell’albergo su un foglio di carta da una che lavorava alla biglietteria della stazione degli autobus. Mostrando quel bigliettino a passanti che mi indicavano prima una direzione e poi quella opposta, alla fine ci sono arrivato. La mia salvezza è stata un benzinaio che mi ci ha accompagnato di persona. Altro che energie altrnative: w il petrolio. La città è brutta, desolata, sporca. Mi sembra di essere in Marocco o in Tunisia. Sì, pensandoci bene questo posto mi ricorda la periferia di Tunisi. E non è un bel ricordo, certo non un panorama da cartolina. Il nome delle vie, i negozi, le indicazioni i dialoghi: tutto in cinese. A quelli che credono che per viaggiare occorre sapere l’inglese dico: non è vero. Se anzichè inglese parlassi italiano o suomi sarebbe la stessa cosa. Sono ottimista, però. Credo che lo schema sia sempre lo stesso. Voglio andare in un posto e me lo immagino, la realtà mi appare diversa da come me lo aspettavo, ci rimango male ma poi mi abituo e mi godo quello che mi offre. Si è già ripetuto tante volte e tante ancora si ripeterà, questo schema. Non ho visto un turista, non un uomo bianco. Adesso capisco alla perfezione come deve essersi sentito Marco Polo. Lui, però, non aveva nemmeno una Lonely Planet.


The Terminal parte II

Hong Kong, 17 feb 2011, giorno 37, ore 20:08, Aeroporto di Hong Kong

Sono di nuovo qui. No, non ho intenzione di prendere un altro aereo, per carità. E’ che i dollari non erano sufficienti sia per mangiare che per dormire, così ho optato per mangiare. Avrei potuto fare un altro prelievo, ma quando mi sono avvicinato al bancomat ho sentito una vocina che diceva “Non farlo. Pensa!”. Così ho deciso che per stanotte dormirò di nuovo qui. Come ho già detto i comfort non mi mancano e adesso come adesso sono seduto nel posto dell’altra volta, nella mia camera di due chilometri quadrati. Forse sono uno zingaro, ma che ci posso fare?

Oggi sono stato all’ambasciata a ritirare il visto. 470 dollari di Hong Kong per un visto di sei mesi doppoia entrata per la Cina. La doppia entrata mi farà comodo quando dovrò fare Nepal e ritorno. Per quello che riguarda il Tibet, invece, è ancora nebbia fitta. All’ambasciata mi hanno detto di rivolgermi ad una agenzia di viaggi organizzati. Sembra che sia davvero l’unico modo per accedere al tetto del mondo. L’idea non mi entusiasma. A parte che non ho idea di quanto mi possano chiedere, il pensiero di salire su un autobus con dei turisti che vogliono fare il giro guidato della regione è una cosa che non coincide coi miei sogni tibetani. Non c’è nulla di male, si intende, solo che non voglio essere della partita. Il mio tour organizzato perfetto sarebbe: ti portiamo là, tu giri per i fatti tuoi e poi ti ritorniamo a prendere. Non so se esiste questa formula ma mi informerò di certo. Sono a tal punto carico per questo spostamento che sto pensando di far slittare il mio soggiorno a Shanghai e Beijing. Non credo che sia il momento giusto per un’altra città. Credo di aver bisogno di soffrire lo sporco e il disagio delle non-città per poter riapprezzare una metropoli. Ho voglia di scalare monti e navigare fiumi, adesso, non di fare vasche in centro e visitare musei. Non è che non voglia andarci, solo che la prenderò un po’ larga. Domani mattina, comunque, ho un bus che mi porterà a Kaiping, un luogo famoso per i suoi Diaolou. Quello che sarà dopo, dipenderà da cose che al momento io non conosco ancora. E che non voglio conoscere.

Visto cinese sul mio passaporto