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Un uomo in barca

Yangshuò, Guangxi, 23 feb 2011, giorno 43, ore 16:05, ostello

Il fiume Li è quanto di meglio possa desiderare il viaggiatore. Le sue acque sono mansuete, docili, pulite. Guardando dall’impavesata dell’imbarcazione è possibile vedere il letto del fiume quasi in ogni momento. Non è molto trafficato, anche se una qualche barca di ronda lungo il fiume è sempre alla vista. Esso scorre tra le montagne del Guangxi e le attraversa in silenzio, accarezzandole ad una ad una. E’ un percorso idilliaco che appaga il desiderio del viaggiatore di vedere posti nuovi ed unici. La vita bucolica che lo accompagna lungo il suo corso è ricca di spunti: contadini, pescatori, venditori seduti sotto a capanne sulle sue rive, anatre ed uccelli in quantità. Ogni tango si incontrano un molo o un porticciuolo, usati dagli abitanti per introdursi nelle barche e scivolare lungo la corrente. C’è una gran pace, interrotta a sprazzi dal suono del motore che di tanto in tanto riporta la mente alla realtà. C’è anche la nebbia. Questa cosa sta diventando la mia rovina. Ieri, sulle terrazze di riso, tutto il panorama era saturo di nebbia al punto da non riuscire a vedere per più di due piani delle ingegnose costruzioni. Ho sperato tanto nel bel tempo per oggi, ma naturalmente non è servito. Sono abituato alla nebbia, a casa mia si vende per pochi centesimi il quintale, ma qui è un’altra faccenda. E’ una barriera che impedisce il pieno godimento dell’ambiente circostante ed è una disfatta per le fotografie. La macchian fotografica, giudice severo ed imparziale, si limita a raccogliere quello che gli si para dinnanzi, e se questo implica una parete di grigio informe che cela le vette e i panorami, lei lo coglie ugualmente. Non le interessa il risultato, le interessa mantenersi fedele al suo principio, e vi esorto su questo punto a non metterla alla prova. Io ci provo da tanto, ma inutilmente. Arrivato a Xingping ho scoperto un piccolo paese in riva al fiume. Non molto pittoresco ma, in compenso, molto pieno di fango. Nelle sue strade solo pochi punti possono vantare l’asfalto e il risultato è che in questa stagione l’intero paese sembra immerso nel fango. Il marroncino pallido è il colore che prevale. Non avendo a mia disposizione i mezzi per combattere tutta questa terra liquida e non avendo nemmeno vestiti e scarpe di ricambio per fare un tentativo, ho decisso di continuare fino a Yangshuò. Una gran decisione. Questo è il posto più bello che abbia visto finora in Cina. Case ordinate, strade lastricate di pietra, lanterne in ogni dove e una vivaace vita cittadina. Mi sarei aspettato di tutto fuorchè questo. Per una volta sono stato sorpreso in meglio. O forse no? Credo che sia giunto il momento di affrontare il tema con il quale ogni viaggiatore prima o poi deve fare i conti: il turismo. Il tursimo di massa per certi versi è una buona cosa: aiuta l’economia locale, rende i posti più predisposti all’accoglienza dei visitatori e rende il viaggio meno difficoltoso sotto gli aspetti della lingua e della ricerca di informazioni e strutture. Qui, per esempio, quasi tutti parlano inglese ed è pieno di ostelli ed alberghi. Però, questo turismo, è una lente che distorce. Questo luogo si presenterebbe così se non ci fosse stato l’intervento del turismo? Non credo proprio. Mi è capitato di vedere alcuni posti totalmente estranei al turismo e decisamente non erano così. La cosa peggiore, tuttavia, è quello che io chiamo l’intrattenimento forzato. Gli abitanti di un paese meta di turismo dicono ok, siamo turistici; ma perchè non diventarlo ancora di più? A questo punto vengono rispolverati antichi costumi, antichi riti e spettacoli dimenticati da secoli e spacciati per vero folklore locale. Si organizzano show, pullman e teatri appossitamente per intrattenere stranieri e trattenere i loro soldi. Li capisco gli autoctoni, nulla da dire, ma per me che lo vivo devo dire che preferirei evitarlo. Il problema è che diventa difficile distinguere il folklore genuino da quello forzato, perchè una volta messo in moto il meccaniosmo, tutto ha lo stesso sapore: una trappola per turisti. Si sono già sprecati milioni di parole su questo tema, quindi non mi dilungherò oltre. Soltanto vale la pena rifletterci sopra.

Mano a mano che mi avvicino all’ovest del Paese, non faccio che pensare al Tibet. Ormai sono arrivato al punto in cui ogni cosa che faccio è per esso. In ogni luogo chiedo informazioni per arrivarci, interpello agenzie e altri viaggiatori. Quando è così è meglio andare subito e togliersi il pensiero. Ho solo una tappa “obbligata” prima di lanciarmi verso la terra occupata: i monti del kung-fu del Wudan Shan. Sono proprio lungo la via (circa), lungo la strada ferrata che mi porterà a Chengdù, luogo che si presuppone essere la porta d’accesso per il Tibet. Non ho informazioni certe, solo frammentate, ma quasi tutte concordano nel dire che se voglio raggiungere Lhasa e l’Everest, quella è la città da raggiungere per prima. Nella speranza che il tempo migliori e che la mia macchina fotografica sia ben disposta, farò una cosa che erano settimane che non facevo: il bucato.