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Le città invisibili

Copenhagen – Helsinki, 5 – 7 mag 2011, giorno 117, ore 13:05, biblioteca

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”   Italo Calvino, “Le città invisibili”

Kublai Khan chiese a Marco Polo: “Dopo aver viaggiato per così tante città, se ne dovessi costruire una, come la costruiresti la tua città?”.

Marco Polo rispose: “Non ti dirò come, poichè il come è effimero, ma ti dirò che se dovessi costruire una città, partirei sicuramente dall’acqua e non dalla terra. Nella sua semplicità, l’acqua è un elemento essenziale per la vita di una città. Essa porta rumori, odori e oggetti senza i quali una città non potrebbe essere considerata tale. La saggezza del tutto risiede nelle acque. Sì, ho sempre pensato che per il suo bene una città dovrebbe scorrere vicina all’acqua”.

La città invisibile

“Intendi dire che l’acqua dovrebbe scorrere vicino alla città?”

“No, l’acqua può anche stare ferma. E’ la città che deve scorrere. Una città immobile ristagna, si imputridisce e muore. Ho visto troppi luoghi fare questa fine, seccarsi sotto all’immobilità della realtà. No, credo che una città dovrebbe essere come un fiume; scorrere, mantenersi fresca, pulita. Anche i suoi abitanti non dovrebbero essere mai gli stessi di qualche istante prima.
Immagina una città sempre nuova, sempre diversa per ogni cittadino che la abita. Non si chiederebbero informazioni, non ci sarebbe bisogno di vie: sarebbero tutti uguali e tutti meravigliati. Una città che non invecchia mai. Una città che, come un fiume, scorre tra le genti.

Le città invisibili

“E dove la costruiresti nel mio impero una città così?”.
“La costruirei nel lugo più visibile, sotto gli occhi di tutti, di modo che risulti invisibile ai più, ma che sia facilmente accessibile e comoda a coloro che vedono cio che non si vede, quelli che hanno voglia di vederla veramente. Sarebbe perfetta su una montagna”.

Le città invisibili

“E vi sarebbero case, in questa tua città?” chiese Kublai Khan

“Di case ve ne sarebbero eccome, e di tutti i tipi. Rotonde, quadrate e delle forme più strane e bizzarre. Dovrebbero essere case a misura d’uomo, quindi per forza non comuni, poichè ogni uomo è non comune e bizzarro e strano.

Le città invisibili

Le case e il tutto spunterebbero dall’erba, come funghi o fiori, facendo sembrare che la mano dell’uomo non abbia mai avuto a che fare con tutto questo.

Le città invisibili

Sarebbe una prospettiva nuova, una visione in cui l’edificio non sarebbe lo scopo finale, il primo pensiero, bensì l’uomo e il suo benessere, il suo vivere. Non ci sarebbero recinzioni o barriere poichè ognuno avrebbe tutto ciò di cui potrebbe aver bisogno.

Le città invisibili

Decisamente la costruirei di vetri e di acciaio, di specchi e cemento. Per lo più di tanta fantasia. La città non rifletterebbe la luce, ma si fonderebbe con essa. Ad ogni ora del giorno ci si potrebbe domandare “c’è o non c’è?”. La vedo immersa in un paradiso di naturalezza artificiale”.

Le città invisibili

Kublai Khan meditò a lungo sulle parole di Marco Polo, tentando di immaginare una simile meraviglia senza tuttavia riuscirci. Alla fine chiese: “Ma sei sicuro che una città del genere non esista già?”

Marco Polo nascose al sovrano un sorriso: “Certo che esiste già, ma è talmente sotto agli occhi di tutti che nessuno la vede”.

Nota dell’autore

Quando lessi per la prima volta “Le città invisibili” di Calvino non capii e non mi piacque. Col tempo imparai ad apprezzare il testo e non appena vidi gli edifici ritratti nelle foto, la mia mente si precipitò dentro al libro. Fra le tante città inventate da Calvino-Polo, nessuna mi è mai risultata tanto straordinaria quanto questo quartiere di Copenhagen. La sola cosa che vorrei sapere, il mio unico dubbio, è che cosa avrebbe fatto o pensato o scritto Calvino se avesse avuto modo di vedere tutto ciò.


Christiania

Copenhagen, Danimarca, 4 mag 2011, giorno 114, ore 22:45, stazione dei treni

Christiania è aperta o chiusa? Cerchiamo di fare luce su questo mistero.

Il 3 maggio 2011 la prima pagina del Copenhagen Post riporta questo titolo: “Christiana si ritira dietro le barricate”. Sfogliando la versione inglese del quotidiano cittadino scopro che Christiania è aperta, ma sembra sia alle prese con una battglia per la terra. Pare che il governo voglia sfruttare la terra dell’ex sito militare in maniera più produttiva. A causa di questa intenzione, per la prima volta in 40 anni di esistenza Christiania ha chiuso le sue porte volontariamente ai turisti e ai visitatori abituali. “Chiudiamo per non chiudere” diceva uno degli slogan. Da quanto ho potuto capire leggendo, il problema è che secondo il governo lo spazio è da sfruttare meglio, quindi le soluzioni proposte sono due: o sloggiano o comprano la terra. Contando che il valore stimato dell’area è di 150 milioni di corone danesi, credo che le opzioni si riducano ad una soltanto: sloggiare. E così per prendere tempo gli abitanti hanno chiuso e hanno parlato tra di loro, senza però venire a capo di nulla. Questo è quello che ho capito io. Sul futuro non si sa nulla di preciso.

Ma com’è dal vivo Christiania? Prima di aver letto questo articolo ero andato a vedere di persona. Nel quartiere che le dà il nome, Christianshavn, sorge Freetown, un complesso di edifici in un’area molto verde che ospita un po’ di tutto.

L'ingresso di Christiania

Hippies, straccioni, spacciatori, gente tranquilla e danesi. Mentre una coppia di ragazze deliziose si ferma ad un chiosco per prendere un caffè, dall’altra parte della stradina un signore esibisce la sua cassetta portatile piena di ogni tipo di hashish, con tanto di prezzi, coltello e bilancino. In molti fumano e bevono, ma tutto sommato l’atmosfera è piacevole. Ci si sente “free”, il luogo ispira una totale libertà, in nessun caso ci si sente intimiditi o in pericolo. Ci sono gruppetti di ragazzi che parlano e ridono, bancarelle di chincaglierie e articoli per fumatori (non di tabacco), chioschi di fornai e caffetterie, negozi e case. Teoricamente qui è legale tutto, in quanto il territorio è autonomo o quasi. Non sono riuscito a capire esattamente fin dove possano spingersi, fatto sta che le droghe leggere non sembrano essere un problema. Il tutto è colorato. Muri, panchine, giochi, insegne, pali, tutto è dipinto a festa in stile hippie annio ’70. Certo deve essere stato più colorato negli anni ’70.

Christiania, particolare

Immaginate una Amsterdam un po’ meno legale e in versione rurale, un po’ più colorata, senza le prostitute in vetrina e avrete Christiania. Passeggiando lungo le stradine attorno alle case magazzino dell’ex cantiere scopro anche una mostra sul Tibet. Una “mostra” sul Tibet. Una stanza quadrata di due metri per due con alcune fotografie e qualche volantino. Piccola, purtroppo, però una bella iniziativa. Un commento sullo stato del Tibet e sul diritto e sui requisiti di una Nazione ad essere riconosciuta come Stato sovrano. Il Tibet ha tutto quello che occorre, tranne che un appoggio internazionale. Tibet Libero! Christiania ha anche un lago bellissimo, che la circonda per tre quarti e la “protegge” dal resto della città. Uscendo il visitatore ritorna in Europa, e il cartello di saluto non manca di sottolinearlo.

Il "confine" tra Christiania e Copenhagen